Novi Ligure Nella città dei Campionissimi, il campione d'Italia fa le valigie. Elia Viviani, nuovamente battuto dall'australiano Caleb Ewan, e solo quarto al traguardo, decide di tornare a casa per sgomberare la mente da cattivi pensieri. Non è cosa. E deve averlo capito molto chiaramente ad Orbetello, quando vince e poi il VAR lo declassa, a beneficio del colombiano Fernando Gaviria.
I numeri sono inesorabili. Parlano chiaro. A questo punto della stagione le vittorie erano 7 su 15 volate disputate. Quest'anno 4 su 15. Elia, come sua abitudine non si arrampica sui vetri. «Forse mi manca un pizzico di esplosività. In ogni caso è bene che torni a casa, per riordinare i pensieri. Non sono sereno. Al mattino sono felice di incontrare il pubblico e di essere qui, ma in gara è evidente che c'è qualcosa che non va. Tre secondi posti, un quarto posto e una vittoria non vittoria, non mi possono bastare. Io e la squadra puntavamo a molto di più. Nel treno mi manca Morkov, con i miei compagni ci cerchiamo e ci perdiamo, alla fine le volate non vanno come vorremmo. Di solito non ci approcciamo così agli sprint, mi e ci è mancata sicurezza. Devo staccare un po' per ripartire e tornare a vincere», racconta al Processo alla tappa.
La retrocessione di Orbetello sembra proprio aver mandato in tilt la sicurezza del 30enne veronese. «Avrei voluto vincere delle tappe in maglia tricolore e arrivare in ciclamino a Verona, ma il ciclismo non è uno sport semplice spiega il corridore della Deceuninck-Quick Step -. Sono deluso perché c'eravamo preparati tanto per un obiettivo che non siamo riusciti a ottenere. Il mio Giro finisce qui perché non ci sono, devo ritrovare la serenità che mi manca. Tornerò a casa e mi metterò al lavoro per preparare la seconda parte di stagione, è inutile continuare a cercare qualcosa che non arriva».
Dopo la volata dell'australiano Caleb Ewan (anche lui ha deciso di lasciare la corsa rosa per problemi familiari, ndc), il Giro riprende la propria marcia con il nostro Valerio Conti sempre fasciato dalla maglia rosa, e una tappa evocativa. La chiamano Cuneo-Pinerolo, ma non scomodate la storia. Lasciate perdere l'enfasi e la retorica che da sempre accompagna la «tappa delle tappe», resa famosa dalla fuga del grande Fausto Coppi, che nel 1949 seppe vincere una frazione del Giro alla sua maniera, superando cinque colli in sequenza: Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere, uno dopo l'altro.
Oggi non si corre la Cuneo-Pinerolo, ma molto più semplicemente si va da Cuneo a Pinerolo: 158 km con un solo Gpm, il Montoso. Punto. Basta. Non c'è altro. È una tappa vuota, priva di significati evocativi, perché dentro non c'è assolutamente nulla.
È un autentico tarocco, una bufala, per dirla con i napoletani un pacco, sperando che i corridori non ci ripaghino con la stessa moneta. Con una vittoria priva di peso e sostanza: con un pacco, doppio pacco e contropaccotto.
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