La bulimia del Milan contro l'anoressia dell'Inter. Da una parte c'è un club che non sembra avere limiti di spesa sul mercato, dall'altra una società che si comporta con il bilancino del farmacista. E il mondo del calcio s'interroga su questa dicotomia che mette in pesante imbarazzo l'Uefa, al centro d'un regolamento poco egalitario e soprattutto aggirabile. Ma la spiegazione c'è ed è anche semplice. L'Inter, benché abbia alle spalle un gruppo, come Suning, capace di fatturare oltre 50 miliardi di euro all'anno, deve sottostare alle limitazioni del fair-play finanziario concordato con l'ente europeo, di cui la principale consente uno scostamento di soli 30 milioni nelle ultime 3 stagioni. E 30 sono già i milioni persi nel 2015-'16 ai fini del fair-play che non tiene conto di alcune spese come quelle dedicate alle strutture sportive o ai settori giovanili. Per la proprietà cinese sarà quindi fondamentale chiudere in pareggio la gestione del 2017-'18, dopo aver fatto altrettanto in quella conclusasi a giugno grazie alle plusvalenze. Il Milan è in una posizione diversa perché, avendo mancato nell'ultimo periodo la qualificazione alle coppe europee, non è stato posto sotto osservazione. Ci finirà fra tre mesi quando l'ad Fassone cercherà di ottenere l'assenso al voluntary agreement con un business-plan più attendibile di quello ritirato qualche settimana fa per le scarse informazioni sulla nuova proprietà e le perplessità sui ricavi in arrivo dalla Cina. Nel frattempo i dirigenti rossoneri fanno mercato in tutta libertà con la speranza che gli ammortamenti degli attuali investimenti non siano presi in considerazioni dall'Uefa o vengano in qualche modo accettati.
Questa è la realtà. Ma ci troviamo di fronte a pesanti differenze. L'Inter non ha potuto sfruttare il "voluntary agreement" perché varato successivamente al fair-play pagando un prezzo salato in Europa League dove, fra l'altro, non ha potuto schierare Joao Mario. Il fatto poi che l'Uefa monitori solo i club qualificati alle coppe, concede dei vantaggi a chi ne è rimasto fuori con conseguenze evidenti a distanza di un anno. Per non parlare del fatto che i controlli nei campionati nazionali obbediscono a parametri flessibili da un paese all'altro.
L'avvocato sloveno Ceferin, presidente dell'Uefa, per quanto contrario allo strapotere economico di alcuni centri oligarchici, pare intenzionato a cambiare qualche norma ampliando i margini d'intervento delle proprietà.
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