Benny Casadei Lucchi
nostro inviato a Budapest
«Sarà la mia settima finale». La Fede umile si presenta con addosso il sudore della fatica e lo sguardo chiaro di chi studia cose belle. «Sono andata forte», dice. «Sono soddisfatta», aggiunge. «Certo che i 200 stile sono cresciuti, avete visto che semifinali tirate? E la prima, poi...». La prima è quella abitata da sua maestà delle vasche, Katie Ledecky. Per dire: l'americana nuota i 1500, centra l'oro numero 12 conquistando il record mondiale non per il crono ma per il numero di metalli preziosi messi al collo nelle rassegne iridate, poi guarda sul podio con tenera superiorità la nostra Quadarella, saluta, stringe mani, e alla fine corre in camera di chiamata per cambiarsi, uscire sui blocchi e rituffarsi per i 200.
«Sarà una sfida all'ultimo sangue», dice Federica che poi precisa: ultimo sangue per l'argento, perché l'oro, nello specifico l'oro numero tredici, «è già di altri». Sott'inteso, sua maestà delle vasche Ledecky. «Sì, ma io sono contenta di potermela giocare». Di più. «Io sono felice di essermi data un'altra possibilità dopo la delusione di Rio. Se mi fossi fermata non avrei per esempio conquistato l'unico titolo che ancora mi mancava, quello dei 200 in vasca corta». E, sottinteso, se si fosse ritirata non sarebbe qui a giocarsi «una medaglia nella mia settima finale». Quarto tempo (1.55.58), prima della sua semifinale, davanti, lassù, inarrivabile, Katie (1.54.69).
C'è pudore a chiederglielo visto che lo scorso inverno aveva svelato di aver nuotato male a Rio per via dei calcoli sbagliati sul ciclo. La domanda si spegne in un puzzle di sorrisi imbarazzati. Sensazione: niente pasticci stavolta.
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