Tommie Smith e John Carlos sono gli incubi di qualsiasi organizzatore sportivo. I loro pugni alzati nel cielo di Città del Messico sono passati alla storia diventando l'immagine simbolo di ogni protesta. Oggi rischierebbero la squalifica alle Olimpiadi, ai mondiali di calcio e dall'altro giorno anche sui circuiti di Formula 1. Il Cio ha bandito ogni forma di protesta politica dai Giochi da tempo, la Fifa si è adeguata arrivando a minacciare di ammonizione i capitani che avrebbero indossato una fascia arcobaleno ai mondiali in Qatar, la Fia ha modificato il Codice Sportivo Internazionale annunciando che i piloti non potranno esibire dichiarazioni o commenti politici, religiosi e personali se non approvati prima dalla Federazione stessa. Chi governa lo sport non vuole fare politica. O almeno non vuole che a farla siano atleti, calciatori o piloti. Va bene obbligare Messi a indossare la bisht, far brindare i piloti con il latte o una bevanda alle rose nei paesi islamici, ma la politica no. Non la vogliono.
Chissà che cosa ne pensa Lewis Hamilton che, dopo aver fatto inginocchiare tutta la Formula 1 prima dei Gp, aveva convinto la Mercedes a colorare di nero le Frecce d'argento. Il Black Lives Matter era diventato uno slogan da pubblicizzare prima di ogni gara. Lewis si è presentato sul podio con il pugno alzato o, come al Mugello lo scorso anno, con una maglietta con la scritta: «Arrestare i poliziotti che hanno ucciso Breonna Taylor» sul davanti e una foto di Breonna con la scritta: «Dì il suo nome» sul retro. Breonna Taylor era una donna di colore, di 26 anni, uccisa da tre agenti della polizia nel corso di una perquisizione nella sua casa di Louisville, nel Kentucky, il 13 marzo 2020. Una protesta dura che aveva già portato la Fia a obbligare i piloti a presentarsi in tuta alla premiazione.
La Formula 1 dopo aver cambiato il calendario 2024 per rispettare il Ramadan e non andare a correre in Arabia Saudita in quel periodo, ha deciso di dare un'altra stretta alla libertà dei piloti. Può anche essere giusto lasciare la politica lontano da stadi, palestre e piste, ma non può funzionare a senso unico. Se si vieta a atleti, calciatori e piloti mandare messaggi non autorizzati, bisognerebbe che anche a chi organizza venisse chiesto di non trasformare in propaganda gli avvenimenti che si organizzano. Il politicamente corretto a volte può diventare terribilmente noioso e inutile. Dare delle regole ha anche un senso perché non è possibile trasformare una partita o una gara in una manifestazione.
Colin Rand Kaepernick ha fatto la storia inginocchiandosi sui campi da football. Oggi rischierebbe la squalifica, ma ai tempi non gli venne rinnovato il contratto a fine stagione. In fin dei conti è meglio dirlo prima, che fare degli strani giochetti politici dopo.
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