Formula1: Mercedes, la sconfitta dei vincenti

Nel giorno della vincita del mondiale per Hamilton, la Mercedes crolla: i fori nei mozzi "quasi legali" la chiave dei problemi?

Formula1: Mercedes, la sconfitta dei vincenti

Mercedes festeggia Hamilton nella peggior gara della stagione 2018: il pentacampione arriva al traguardo con 78 secondi di distacco dal vincitore Max Verstappen, e Bottas addirittura viene doppiato.

Un tonfo dal fragore assordante, ovattato dal dj set a chiusura del Gran Premio del Messico ma troppo imbarazzante per passare inosservato: tantopiù per il motivo, le gomme.

Il campanello d’allarme era suonato la scorsa settimana a Austin: Hamilton al posteriore distrugge gli pneumatici e la squadra deve richiamarlo per evitare problemi più gravi.

Risultato: la discesa in classifica, festa mondiale rimandata e Raikkonen vincente che lo stuzzica nel podio “Hai vinto il mondiale?” - “No”.

Oggi circuito diverso, problema identico: piloti Mercedes in crisi, con un eloquente team radio del campione inglese “Pneumatici morti”. E gara in salita per entrambi.

Una debacle che crea più di qualche dubbio visti gli eventi che potrebbero averla causata: a Spa la scuderia tedesca porta dei cerchi particolari, capaci di una maggior aerazione. A Singapore nuovi mozzi, dotati anch’essi di aperture quasi invisibili a uno sguardo superficiale, ma palesemente più performanti e necessari per le frecce d’argento.

Le monoposto infatti dominano, risolvendo quello che era il problema di inizio stagione: l’eccessivo surriscaldamento degli pneumatici posteriori.

Poi la richiesta di chiarimenti da parte della Ferrari: infatti un espediente simile era stato utilizzato dalla Red Bull nel 2012 ma dichiarato illegale dalla FIA, perché atto a ottenere vantaggi aerodinamici.

Poco prima di Austin arriva comunque il semaforo verde da parte della Federazione Internazionale, che dichiara conforme il dettaglio, non con qualche dubbio.

Mercedes, a questo punto, per evitare problematiche decide di chiudere le aperture. Risultato: due gran premi di rincorsa, performance in crollo e pneumatici distrutti al posteriore.

A pensar male del prossimo si fa peccato ma si indovina: inevitabile porsi qualche domanda sulla correlazione tra le cose e sulla completa conformità dei fori.

Così per un mondiale definitivamente andato e un altro ormai distante, arrivano i rimpianti. Non solo a livello gestionale e prestazionale, ma anche politico: i reclami che potevano essere presentati a Spa, chiedendo una risposta netta e immediata da parte della FIA, che invece non ci sono stati. Con un regolamento tecnico ombroso e la Mercedes che si è mossa nel chiaroscuro, mentre in Ferrari si aprivano le lotte interne.

Dubbi e pensieri che non metto in ombra la superiorità del pilota: Hamilton ha corso sempre in maniera lucida, con una supremazia mentale netta rispetto a Vettel, in balia dell’instabilità interna e con la foga di dovercela fare probabilmente da solo.

Pensieri e amarezze nel giorno in cui la Ferrari ritrova il suo leader, il cui viso tirato racchiude tutti i rimpianti della Ferrari in questo 2018. Vettel scuro in volto, “non preparato” per sua stessa ammissione alla vittoria di Hamilton, lui che sperava di poterselo giocare fino alla fine questo campionato.

E adesso più che mai, è ora di sanare quella frattura interna presente a Maranello che ha creato le basi della sconfitta: quella tra Binotto e Arrivabene, circolante da mesi come voce, ora giunta al culmine probabilmente.

Un Maurizio Arrivabene indicato a scadenza da Marchionne che vede il suo posto congelarsi con la scomparsa dell’ex presidente Ferrari: così mentre John Elkann ha voluta rendere giustizia alla memoria del manager di Chieti promuovendo LeClerc, non altrettanto sembra garantito per Binotto.

Il direttore tecnico nei piani previsti avrebbe dovuto sostituire Arrivabene nel 2019, ma l’arrivo di Camilleri (amico del consigliere d’amministrazione della Juventus dai tempi di Philip Morris) sembra aver congelato il passaggio di testimone.

Ora lasciare andare Binotto vorrebbe dire consegnarlo alla concorrenza come già avvenuto per Costa o Allison: persone epurate da Maranello che stanno togliendosi qualche sassolino dalla scarpa in questi anni.

Fare lo stesso ora con Binotto, dopo il passaggio di Simone Resta alla Sauber, farebbe accendere ben più di un campanello d’allarme per lo sviluppo della Ferrari 2019: questo mondiale è stato perso per inspiegabili motivi dopo una lotta bella non priva di qualche “se e ma”.

Permettere a Binotto di cambiare scuderia dal gennaio

2019, equivarrebbe quasi a regalare la stagione in partenza agli avversari. E di certo Vettel non starebbe nuovamente ad aspettare tempi migliori: in Mercedes sono in molti a volere un campione tedesco sulle frecce d'argento.

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