Gatlin, il più solo e più veloce al mondo

Anche ieri Londra lo ha "violentato" con i suoi fischi. L'unico a proteggerlo è stato Usain Bolt

Gatlin, il più solo e più veloce al mondo

Dal nostro inviato a Londra

L'uomo più solo del mondo, a Rio, un anno fa, si era avvolto nella bandiera americana per sfuggire ai fischi e ai buuu urlati da uno stadio tamarro ad ogni suo movimento, apparizione, respiro. Aveva cercato protezione in quei colori, in quelle stelle, in quelle strisce come fossero una corazza improvvisata, uno scudo. Aveva appena vinto l'argento, Justin Gatlin, cedendo solo davanti a lui, Usain Bolt, e proprio il dio della corsa gli era venuto in soccorso: «La gente è più voce che altro, non sa quanto la rivalità con Justin mi sproni a far meglio, è un gran ragazzo...», le parole dedicate all'ex due volte dopato. Che poi, anche qui, ci sarebbe da sottolineare e spiegare e precisare.

L'uomo più solo del mondo, sabato sera, a Londra, nel cuore di uno stadio che cinque anni prima aveva stupito per la qualità e densità degli applausi regalati a tutti, ha scoperto che se lo sportivissimo inglese diventa tamarro, lo fa con cattiveria inaudita. Sabato è stato violentato, Justin Gatlin. Violentato in batteria, violentato in semifinale, violentato quando ha vinto l'oro davanti al connazionale Coleman e a dio Bolt, unico, nella tristezza della sconfitta, a capire e a soccorrerlo con un abbraccio. E l'hanno violentato anche ieri, due volte. La prima: quando Lord Sebastian Coe, presidente della Federatletica e figlio vincente e intonso di un'epoca densa di sospetti (fra il '78 e l'86 dominò gli 800 e 1500), ha commentato: «Avrei preferito che l'oro mondiale lo vincesse un altro...». La seconda: quando Coe lo ha premiato e l'americano salendo sul gradino alto e stato di nuovo accompagnato dai buuu. Fischi solo in parte attenuati ma per merito di Bolt, che applaudendolo ha indicato la via a una parte del pubblico.

L'uomo più solo del mondo paga per le proprie colpe e per quelle di tutti gli altri. Quelli pizzicati ieri con le mani nel doping, quelli che lo saranno domani e per quelli che sono riusciti a passare indenni tra epoche diverse e pozioni chimiche sempre più complesse e oggi pontificano. «Non capisco», si domanda lui, «sono rientrato nel 2010 e non mi avevano fischiato quell'anno e così in quelli dopo. Solo qui e a Rio...». Però sabato sera non ha avuto bisogno di avvolgersi nella bandiera americana come in Brasile, si è avvolto in se stesso e in tutta la propria forza. Quella che gli aveva appena permesso di battere il dio della corsa nel giorno della santificazione attesa e programmata; quella stessa forza che lo aveva spinto, un attimo dopo, a portare con tristezza, non rabbia, il dito alle labbra e a sussurrare al mondo contro «adesso stai zitto tu...». Forza poi diventata un inchino, commovente e meraviglioso e inaspettata poesia dello sport: l'uomo più solo del mondo in ginocchio davanti all'uomo più amato del mondo. Solo lo stupido pubblico inglese non lo ha capito. «Anche nella vita dopo aver scontato le proprie colpe, si ha una possibilità», dirà Gatlin, «e io ho pagato, mi sono dedicato ai bambini, ai ragazzi, per ispirarli, eppure solo fischi». Ha ragione. Vale nella vita, perché, diamine, non dovrebbe valere nello sport? A rispondere sarà dio Bolt: «Se è qui è perché è a posto, se lo merita, ha lavorato duramente e io lo stimo». Punto.

L'uomo più solo del mondo aveva dodici anni quando gli diagnosticarono un deficit dell'attenzione che lo portava alla balbuzie. Ne aveva diciannove quando, nel 2001, stupì correndo i 200 in 19''86 (+4 metri di vento a favore). E aveva pochi mesi di più quando inciampò per la prima volta nel doping. Fu vicenda strana, quella. Mai veramente chiarita. Tracce di anfetamine, le stesse contenute nei farmaci che il medico di famiglia gli somministrava per curare il deficit. Rimase fermo un anno e tornò. Vinse l'oro nei 100 ad Atene, vinse 100 e 200 ai mondiali di Helsinki, nel 2005, e un anno dopo sprofondò nel vero doping: testosterone. Otto anni di stop ridotti a quattro. Mai una confessione, mai un'ammissione, disse solo colpa di creme spalmate a sua insaputa. Forse è soprattutto questa ostinazione che non gli perdonano.

L'uomo più solo del mondo ora è il campione del mondo.

Se può consolare e appagare gli odiatori di professione, è anche l'unico che da anni corra solo per amore dello sport. Di soldi ne vede pochi. Reietto per il pubblico, reietto per gli sponsor, a lungo tenuto lontano anche dai meeting. Puro. Almeno in questo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica