Luis Cesar Menotti, antico santone di epoca maradoniana, ha tirato la sintesi: «Quella che ha fatto la Germania è una rivoluzione del calcio: non si basa su una stella, ma su un gruppo. E il risultato è quello di una squadra brillante». Rivoluzione proprio no, anche altri ci hanno provato, ma che la Germania si accompagni all'idea del gruppo, del blocco, della testuggine che sprizza classe e fisicità, fa storia ed ora farà trend. La storia anche in questo caso dice qualcosa: la panzer division calcistica ha sempre regalato sensazioni di compattezza, irriducibilità, accompagnate da un pizzico, qualche volta un quarto talvolta una manciata, di qualità e classe pura. Non c'è Germania senza giocatori che si elevino sopra la media, ma soprattutto non c'è Germania che non sappia fare gruppo. Lothar Matthaus era un matto fuori campo, ma quando metteva piede sul prato diventava un indomito condottiero. Citazione d'obbligo per il capitano che ha guidato l'ultima nazionale al titolo mondiale (1990). E con lui c'erano Klinsmann e Voeller in attacco, Littbarski un altro con il quarto di classe in più, tanti armadioni tra difesa e centrocampo, Brehme terzino di fascia forse snobbato ma terribilmente importante: non a caso segnò il rigore della finale contro l'Argentina. E Neuer e Oezil, Hummels, Kroos e Mueller erano appena nati: segni del destino?
Oggi il campo e il mondiale brasiliano ci raccontano di un vecchione indomito, Miro Klose, sul quale Lotito è riuscito a regalarci una foto senza i soliti eccessi («Giocatore indistruttibile, l'immagine della felicità e della costanza agonistica») e di un gruppo che pizzica la fantasia con una generazione programmata nel tempo. Li hanno ribattezzati ragazzi terribili, ma qualcosa c'è che fa gruppo e soprattutto crescita: nel 2009 molti di loro centrarono, in Svezia, il campionato Europeo Under 21. Qualcuno lo chiamerà modello Bayern ed infatti c'è tanto di una squadra che comanda con qualche comodo di troppo la Bundesliga. Il Bayern lavora sui campioni che si prende senza badare a spese (Neuer dallo Schalke 04 per esempio) ed anche sui vivai dove impegna cifre che altri non si possono permettere. Ne esce una situazione paradossale: in Germania c'è una squadra eppoi le altre, ma la nazionale cresce rendendo omogenea la cultura dello strapotere e quella dei fiori di campo. Questa squadra è composta da sette uomini Bayern, ma anche da qualche fiore del Borussia (Dortmund e Moenchengladbach), dello Schalke 04 e da quel gruppo che va a cercare fortuna all'estero: soprattutto in Premier league e in Italia (Klose e Mustafi). Non è stata dimenticata neppure l'integrazione, Jerome Boateng e Sami Khedira ne sono le espressioni: padre ghanese per l'uno e tunisino per l'altro. E, dietro di loro, c'è già il ricambio fra quelli rimasti a casa: Gundogan, Reus, Bender. Parliamo di un gruppo in età media fra i 24 e i 26 anni con i vecchioni Lahm (30 anni), Klose (36), Schweinsteiger (29) che fanno gli over. Poi, certo, il Bayern è il quarto club al mondo per potere economico, ha lavorato bene sui bilanci, quindi tutto fa risultato.
Ma il mondiale ha altro fascino ed è un toccasana anche per l'economia tedesca. Così raccontano gli esperti che gestiscono le società di indagine. «Più grande è l'euforia, tanto meglio vanno gli affari nel settore articoli per fan, bevande e snack». La goleada al Brasile ha regalato un record anche alla tv tedesca: 32,57 milioni di spettatori sono rimasti incollati allo schermo. Mai così tanti.
Ora non resta che concludere l'opera: a Rio davanti a un pubblico brasiliano depresso e magari vendicativo. Ed infatti sono cominciate le pubbliche relazioni: anche questa è organizzazione, o meglio cultura del successo. Muller e Schweinsteiger si sono scusati. «Il Brasile non merita questo. Non meritava di perdere in questo modo».
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