"Ho ucciso coi compagni. E se avessi Putin qui..."

Il tennista ucraino che batté Federer a Wimbledon è da un anno in guerra: "Ho combattuto ovunque. Vorrei colpire lo Zar"

"Ho ucciso coi compagni. E se avessi Putin qui..."

Nascosto in un bunker di Kiev, Sergiy Stakhovsky aspetta di tornare a combattere. La sua guerra in Ucraina è cominciata due giorni dopo l'inizio ufficiale del conflitto, il 26 febbraio del 2022, ma non per questo è meno sentita. Sergiy è un soldato riservista dell'esercito ucraino ma soprattutto un ex tennista, ex numero 31 del mondo nonché in grado nel 2013 di battere, sul campo centrale di Wimbledon, nientemeno che Roger Federer. Era il secondo turno del torneo più prestigioso del mondo e quella vittoria gli sarebbe valsa molta fama e un ricordo eterno, perché lo svizzero era da 36 tornei consecutivi dello Slam che non usciva prima dei quarti di finale. Ora però Sergiy è il soldato semplice Stakhovsky, disposto a dare la vita per la sua Ucraina. Siamo riusciti a raggiungerlo nel bunker dove passa le sue giornate quando non è al fronte.

Sergiy, quando ha deciso di diventare un soldato?

«Nel gennaio del 2022 smisi di giocare a tennis, il mio ultimo torneo furono le qualificazioni per l'Australian Open, poi mollai. Dopodiché, pochi giorni dopo, cominciò la guerra in Ucraina e mi resi disponibile, da riservista qual ero».

Com'è stato il processo di arruolamento?

«Un test fisico e medico, poi puoi essere chiamato o meno una volta che hai dato la tua disponibilità. Io in quanto ex atleta avevo ero più pronto, evidentemente».

Perché ha deciso di andare a combattere?

«Per una questione morale, tutto qua. Lo dovevo al mio paese. In realtà già quando nel 2014 era iniziato il conflitto in Donbass pur senza avere esperienze militari di alcun tipo avevo cominciato a mandare in Ucraina contributi in denaro».

Quindi lei ha vissuto l'inizio della guerra quando ancora stava giocando?

«Sì, mentre ero al torneo di Marsiglia, nel 2014, mia moglie stava per partorire il nostro primo figlio».

Anche il suo ex collega Alex Dolgopolov sta combattendo. Vi sentite?

«Sì, abbastanza spesso anche se siamo in reparti separati. Non combaciamo molto come orari, lui poi è spesso con i reparti aerei a differenza mia, ma siamo in contatto».

C'è stato in questi mesi qualche tennista russo con cui ha parlato?

«Sì, con Andrey Rublev, che nelle prime settimane della guerra mi ha scritto, confortandomi. Il fatto è che in Russia non si può manifestare pubblicamente contro questo conflitto».

In generale il circuito del tennis come si è comportato? La sua decisione le ha fatto perdere qualche amicizia?

«In realtà no, anzi. Molti si sono dimostrati generosi con me ma soprattutto con la popolazione ucraina. Le dirò il caso di Amélie Mauresmo che era riuscita a procurarsi alcuni biglietti per il Roland Garros per dei bambini di qua. Lei è stata gentilissima. In generale comunque ho ricevuto decine di messaggi di conforto e di appoggio da giocatori anche del passato, persino dagli arbitri. In generale la comunità del tennis mi ha aiutato molto».

Ha suscitato molte polemiche una sua frase recente, secondo la quale sarebbe disposto ad andare a uccidere Putin. Conferma?

«Hanno interpretato male la mia frase. Avevo solo detto che se me lo fossi trovato di fronte in una stanza, io e lui da soli, gli avrei sparato. Sono stato travisato».

E lei ha ucciso in questi dodici mesi di guerra?

«Non posso rispondere per me, ma per il gruppo di cui faccio parte. E il mio gruppo sì, ha ucciso dei nemici».

In quanti fronti ha combattuto?

«Farei prima a dirle dove non ho combattuto, perché sono stato praticamente dappertutto, da Kharkhiv a Bakhmut, pattugliando tutte le basi. Spesso senza sapere la sera prima cos'avremmo fatto il giorno dopo. La nostra vita è così, anche questione di metri e di fortuna, una bomba che può caderti addosso invece che a poca distanza».

Un anno di guerra è andato: come si vede da qui a 12 mesi?

«Sinceramente dal punto di vista ucraino noi non possiamo accettare di chiuderla così, con un cessate il fuoco generico. Altrimenti la Russia tra tre anni riprende e siamo da capo. Lei non ha idea di cosa hanno fatto i russi, specie sui civili. Hanno lasciato le città al gelo, verranno fuori i dati della gente morta di freddo, oltre a quelli ammazzati dai bombardamenti. È un genocidio quello che stanno perpetrando».

Fino a quando combatterete?

«Fino a riavere i nostri vecchi confini.

C'è qualcosa del tennis che ha «traslato» sul fronte?

«Che comunque è sempre un lavoro di squadra, in cui bisogna ascoltare tutti».

Di quella vittoria contro Federer cosa ricorda?

«Ah potrei raccontarle tutto punto per punto. Ma vado più orgoglioso dei 4 titoli vinti sul circuito, che erano stati il frutto di un'intera settimana. Al termine della quale poter dimostrare chi sei davvero. Dopo un po' si gioca per quello a tennis, nemmeno per i soldi».

Ha dei terreni dove produce vino, chi li gestisce ora?

«Sono in una zona sicura dell'Ucraina, vicino al confine con l'Ungheria, e ci sta pensando mia cognata, perché ho un fratello che pure lui è al fronte, è un sergente dell'esercito».

Lei è credente?

«Lo ero, ortodosso. Ma da quando sono in guerra faccio molta fatica».

È orgoglioso della sua scelta?

«Sono orgoglioso della gente ucraina. Questo mi basta e mi conforta».

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