"Ho vinto tra le donne. Ora guido gli uomini"

L'ex ciclista toscana Fabiana Luperini è la prima donna in ammiraglia in un team maschile: debutta oggi e sarà al Giro

"Ho vinto tra le donne. Ora guido gli uomini"

Non è Alfonsina Strada, ma seguirà il Giro d'Italia, quello maschile, seduta in ammiraglia come Anna Maria Ortese, la prima giornalista donna al seguito del Giro 1955, grazie alla complicità di Vasco Pratolini che la ospitò sulla sua auto di nascosto, perché all'epoca la corsa rosa era bandita alle donne. È sempre stata di poche parole, riservata e schiva, Fabiana Luperini. Ha sempre preferito far parlare i risultati quando correva in quegli anni, tra i Novanta e Duemila e lei, in materia, è sempre stata piuttosto chiacchierona, vincendo in carriera cinque Giri, tre Tour e un'infinità di corse.

È stata la Pantanina, in quegli Anni magici del Pirata che infiammava le strade del mondo e Fabiana alzava ancora di un po' l'asticella del ciclismo femminile italiani, che in quelle stagioni era ancora troppo bassa. Ora Fabiana si trova suo malgrado nuovamente sulle prime pagine. Con la sua Corratec, formazione maschile Professional, è stata invitata al prossimo Giro d'Italia e lei, direttore sportivo di questo team toscano, ha la possibilità di seguire la corsa rosa non in bicicletta come una Alfonsina Strada (nel 1924) qualsiasi, ma in ammiraglia, al seguito dei suoi ragazzi. E oggi debutterà al Saudi Tour.

Dopo tanti Giri al femminile, ora si profila per lei quello degli uomini: quale è il suo sentimento?

«Intanto vedremo se sarò in squadra, sono l'ultima arrivata e sarà Serge Parsani, il nostro team-manager, a decidere la squadra e lo staff per il Giro. È chiaro che ci spero e sarei contenta di far parte della comitiva, qualche tappa, sarebbe bello esserci».

Quanta prudenza...

«E anche un po' di scaramanzia...».

Si rende conto di essere anche ispirazione e modello per tante altre ragazze?

«Sì, lo sento chiaramente. Ed è altrettanto chiaro che mi fa piacere, ma trovo anche strane tutte queste attenzioni: non c'ero più abituata».

Lei sta facendo la storia. Prima fu la statunitense Robyn Morton al Giro del 1984, che salì sull'ammiraglia dell'americana Linea MD-Gianni Motta. Due anni fa è stata la volta di Cherie Pridham, prima donna diesse nel World Tour (Israel Start Up Nation), e lei, proprio oggi, debutterà in ammiraglia al Saudi Tour.

«E di questo sono molto felice e orgogliosa. L'idea di guidare dei ragazzi è bellissima quanto stimolante. Ci sono tanti giovani, tutti molto bravi, che hanno ambizioni e voglia di fare. I ragazzi mi rispettano e quello che mi fa piacere è che conoscono il mio passato, la mia storia di atleta».

Quali sono le differenze nella gestione tra una squadra di ragazze e quella di ragazzi?

«Tra i ragazzi c'è una coscienza professionale più consolidata. Tra le ragazze c'è ancora una profonda disomogeneità, anche se rispetto ai miei tempi sono cresciute tutte moltissimo. Le big sono ultra professionali, molto attente e maniacali, le altre un po' più naif. Su una cosa però c'è grande differenza: nell'approccio che si ha con gli atleti. Se io faccio un complimento ad un ragazzo, i compagni di squadra non battono ciglio. Se lo faccio ad una ragazza, le altre generalmente non la prendono benissimo. In sintesi: gestire i ragazzi è molto più semplice. Che dire? Noi donne siamo così, dolcemente complicate».

Cosa significa per lei il Giro d'Italia?

«È la corsa delle corse, l'evento ciclistico per eccellenza. Per me era già il massimo quello delle donne, ma quello degli uomini è la storia, uno degli eventi più importanti del mondo. Ho vissuto da appassionata i Giri di Moser e Saronni e mi sono appassionata alla loro rivalità, ai loro scontri, fatti di vittorie e polemiche. Io tifavo per Saronni, come il mio babbo».

Il soprannome Pantanina le piaceva?

«Assolutamente sì. Significava essere accostata a Marco, il miglior scalatore del mondo, uno dei più forti di tutti i tempi, per me il più forte in assoluto. Voleva dire che forse la miglior scalatrice del mondo, in quel momento, ero io».

Il ciclismo femminile sta vivendo nel mondo un momento magico, quello italiano una vera età dell'oro.

«L'Uci (l'organizzazione mondiale del ciclismo) ha fatto un grande lavoro, dando una notevole dignità a tutto il movimento e, devo dire, che i team maschili di World Tour che hanno aperto alle donne, hanno fatto altrettanto con grandissima professionalità. Diciamo che il movimento femminile ha davanti a sé un grande futuro, finalmente».

Però anche nel ciclismo femminile, il personale che gravita

attorno ai team è per lo più composto da uomini...

«Sono certa che a breve questa tendenza cambierà, anche se io sono e resto per la meritocrazia: chi è brava va avanti, senza quote rosa, ma anche senza pregiudizi».

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