Si è aperta la stagione del calcio neomelodico. Piange Del Piero, piangono Gattuso, Van Bommel e Pippo Inzaghi. Piangono Cordoba e Di Vaio. Piange Ljajic sotto la rabbia di Delio Rossi. Piange Napoli per il futuro di Lavezzi. Piangono gli stadi, le curve e gli ultrà. Piange Maradona per i guai con il fisco. Piange Guardiola malato di stress e Luis Enrique che subito lo insegue. Il calcio sta mettendo in campo lo spettacolo dei piagnoni. L’effetto è quello delle trasmissioni strappalacrime, con i sentimenti messi in piazza a basso costo e la speranza di alzare lo share per far dimenticare il fango su cui rotola il dio pallone. L’impressione che si ottiene è più o meno la stessa: c’è puzza di falso e di emozioni preconfezionate. Mancano soltanto le sceneggiate alla Mario Merola. Poi tutti quanti possiamo commuoverci raccontando quanto sia triste l’addio delle bandiere e il cuore cavalleresco degli eroi in tacchetti e pantaloncini. Ma questo è lo stesso calcio dei procuratori e degli sponsor? Quello che vive e sopravvive grazie alla tv e alle interviste post partita dove il mister e i giocatori si mettono sul volto la maschera della banalità e leggono risposte prestampate? Sembra di sì. Allora c’è da riflettere se queste lacrime non siano un po’ troppo stonate, come l’amore da best seller di plastica dei lucchetti di Ponte Milvio. Dispiace. Ma Del Piero che fa il giro del campo per raccogliere il tributo del suo pubblico assomiglia al romanticismo di «Tre metri sopra il cielo». È lo spettacolo patinato di un miliardario licenziato dal suo datore di lavoro che rabbonisce i suoi clienti con un quarto d’ora di farsa da gettare in pasto alle tv. Ci piacerebbe piangere con lui. Ma non ce la facciamo. Il calcio di questi anni ci ha educato al cinismo, ai capitani che scommettono contro la propria squadra (non è il caso di Del Piero, naturalmente), ai capricci degli eroi che non puzzano più di olio di canfora ma di clinica della salute. Non è facile ora cambiare lo sguardo. Non basta un clic. Il brutto delle disillusioni è questo. Una volta che l’ingenuità si è persa si fatica a vedere in quei pianti qualcosa di antico. I calciatori ci hanno insegnato che prima di tutto sono professionisti, che la maglia si bacia solo per ingraziarsi gli sponsor, che il calcio è un bastardo mestiere come tutti gli altri e dai tempi del Super Santos non è più il sogno di tutti i bambini del mondo.
Per troppi anni il gioco del pallone si è arricchito con la stessa logica dei lottatori americani che fingono di massacrarsi di calci e pugni seguendo un copione già scritto. Una domenica di primavera non basta a regalarci di nuovo il sogno perduto. Un demone cattivo ci suggerisce che le lacrime dei campioni non siano solo una questione di cuore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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