"I giovani facciamoli giocare... ma con la loro spensieratezza"

L'ex stella della pallavolo: "I trionfi nascono dal lavoro nel settore giovanile azzurro. Tanti giocano insieme da anni"

"I giovani facciamoli giocare... ma con la loro spensieratezza"

I tornei dei numero uno d'Europa stanno per arrivare. Con gli anticipi di sabato (Padova-Civitanova in Superlega e Busto Arsizio-Monza in Serie A1) prendono il via i campionati nazionali di volley maschili e femminili, dopo un'estate che ha fatto dimenticare la delusione olimpica e rilanciato un movimento in grado salire sul tetto del continente nel giro di due settimane. Prima le azzurre di Davide Mazzanti, poi gli azzurri di Fefè De Giorgi hanno spalancato nuovi orizzonti, resi ancor più luminosi dall'inedito trionfo al Mondiale Under 21 dei ragazzi di Angiolino Frigoni. Dietro al fenomenale classe 2001 Alessandro Michieletto, c'è una classe nuova pronta a invadere anche i tornei nazionali, a patto che gli venga dato spazio visto che tra i dodici campioni iridati solo tre sono titolari fissi in Superlega (Rinaldi, Porro e lo stesso Michieletto). Altri sette sono riserve e due giocano in A2, sperando di diventare i nuovi Yuri Romanò. Oppure chissà, sognando di comporre la nuova generazione di fenomeni come fece Andrea Zorzi, l'opposto del dream team di Julio Velasco.

Spazio ai giovani: è questo il nuovo mantra?

«A patto di mantenere il giusto equilibrio. Viviamo in un'epoca dove tutto si brucia a una velocità incredibile e attorno ai nuovi talenti c'è tanto stress. Però alcuni di loro sono proprio forti, sono il frutto di una pallavolo che non ha più dominatori assoluti a livello internazionale e propone un'alternanza continua di vincitori. Questo accresce il livello e la competizione».

Si aspettava questo exploit del volley italiano?

«Non pensavo che certi ragazzi arrivassero in alto così presto, pur appartenendo a gruppi che hanno lavorato assieme nelle fasi giovanili. Facciamoli giocare, lasciamoli crescere e poi valuteremo la generazione nel suo complesso. La mia è rimasta ad altissimi livelli per dieci anni. Vincere da favoriti è la parte più complessa perché aumenta la pressione, ti diverti di meno, devi tenere alte le motivazioni e l'effetto popolarità può incidere».

Cosa la colpisce di queste nuove promesse?

«Ci sono ragazzi di 19-20 anni che si muovono come esperti e quello di Michieletto è l'esempio più scontato. Ai miei tempi non accadeva, le carriere si sono allungate e si riesce a essere determinanti molto prima, grazie anche alle tecniche di preparazione e al supporto fisico costante».

Si rivede in qualcuno in particolare?

«Ho sentito parlare Romanò, diceva che all'Europeo è entrato in campo e non ha pensato a nulla, se non a tirare il più forte possibile. Ecco, mi sono riconosciuto in lui perché a una certa età tra spensieratezza e incoscienza è difficile capire dove sta il limite».

C'è un segreto nel riscatto post olimpico?

«L'estate che abbiamo vissuto è caratterizzata da un filo rosso.

Molte vittorie, penso a quelle della pallavolo, all'Europeo di calcio o a Jacobs e Tamberi, sono arrivate da generazioni nuove o quasi. Tutti spensierati, coraggiosi e in parte anche outsider, in grado di ribaltare i pronostici perché hanno giocato o gareggiato con leggerezza e voglia emergere».

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