Nelle aziende lo chiamano «incentivo all'esodo». Di solito trattasi di qualche mensilità offerta per spingere sull'uscio un dipendente dichiarato poco utile all'economia del gruppo di lavoro. Nel calcio, e in questo caso non solo italiano, l'incentivo all'esodo è diventata una tecnica abituale e onerosa per liberarsi di stipendi molto ricchi e di professionisti giudicati esuberi dagli allenatori. Costa un bel po' ed è diventato lo strumento indispensabile per ridurre la rosa delle squadre bloccate in molti casi dalla resistenza di alcuni soggetti. Per questo banale motivo all'Inter non è arrivato Dybala. La Juve ha avuto il suo bel da fare per convincere Ramsey, una sorta di peso morto a giudicare dal suo modesto contributo alla causa, e ha dovuto versargli una parte dello stipendio promessogli per la stagione ormai in corso. Idem per l'Inter che, faticosamente, è riuscita a liberarsi prima di Vidal (ora in Brasile) e adesso di Alexis Sanchez (nella foto) grazie allo stesso metodo. Quest'ultimo, a dare credito alle cifre circolate negli ambienti ben informati, ha ottenuto un incentivo all'esodo di 5 milioni, poco più della metà che l'Inter avrebbe dovuto pagare per la stagione intera (9,3 milioni).
È un bel sacrificio economico ma come si dice in questi casi meglio due feriti che un morto dal punto di vista contabile. Questi esempi dovrebbero, a mercato chiuso, indicare la strada maestra ai club, in particolare quelli italiani appesantiti da debiti mostruosi.
È ormai fuori mercato garantire contratti lungo e onerosi a giocatori richiesti da un allenatore per due motivi: 1) perché poi il tecnico passa, lo stipendione rimane sulle spalle del club e il tecnico successore non intende utilizzarlo; 2) perché è molto più utile negoziare un contratto ogni una o due stagioni visto che ormai ci sia avvia verso l'epoca in cui perdere a zero un calciatore non è più una tragedia finanziaria.
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