I burocrati del football, che - come dice Ricky Albertosi - «una partita non l'hanno mai giocata sul campo ma solo vista in tv sul divano», sono al contrario maestri nel palleggiare i «non»: «non» si fa questo; «non» si fa quello; «non» si fa quell'altro. E così, grazie alle loro regole (scientemente cervellotiche e quindi volutamente inapplicabili) si è arrivati all'apoteosi del «non» calcio.
Fino a 20 anni fa c'era un ruolo - il portiere - che era tutto istinto e temerarietà. Poi, a colpi di «nuove norme», il kamikaze si è trasformato nel ragionier Fantozzi. In porta come dietro una scrivania. Guai a uscire con veemenza sui piedi dell'avversario. Fino a poco tempo fa si rischiava il rigore e l'espulsione. Poi, in un empito di buonsenso, i direttori globali ci ripensarono e il cartellino rosso fu riposto nel taschino.
Ma la routine impiegatizia è ormai irreversibile. E la conferma viene dall'ultimo protocollo siglato dal capufficio dell'Ifab, il sommo ente internazionale deputato a cambiare le tavole della legge calcistica. Il testo della circolare («nuovo Comma 1, Regola 14, in vigore dall'1 luglio 2023») è degno del calamaio di monsù Travet: «Il portiere difendente deve rimanere sulla linea di porta, di fronte al calciatore, tra i pali, fino a quando il pallone non viene calciato. Il portiere non deve comportarsi in modo tale da distrarre il calciatore in maniera scorretta, ad esempio ritardando l'esecuzione del tiro o toccando i pali, la traversa o la porta».
Inevitabile il dibattito tra i portieri del presente e del passato. A inquadrare il tema, con la giusta ironia, era già stato un tweet della saracinesca del Milan, Mike Maignan: «Nuova regola dell'Ifab per i rigori nel 2026: i portieri dovranno essere girati di spalle al momento del tiro. In caso di interruzione, calcio di punizione indiretto». L'estremo difensore rossonero ci ride (e rode) su, ma la sua sarcastica profezia prima o poi vedrete che si avvererà...
Ma da cosa nasce questa «rivoluzionaria» velina dei grand commis dell'Ifab, di cui nessuno sentiva l'esigenza?
Tutta colpa - pare - delle sceneggiate del portiere dell'Argentina campione del mondo, Emiliano «Dibu» Martinez, che in Qatar di comportamenti scorretti - l'Ifab li definisce «unfair» - è stato gran cerimoniere tra smorfie e pantomime in campo (in occasione dei rigori decisivi) e al momento della premiazione (con tanto di trofeo poggiato su riservatissime parti anatomiche).
Uno show in mondovisione che non è piaciuto a nessuno, figuriamoci a colleghi di Martinez campioni anche di etica sportiva. Come, ad esempio, Zoff e Castellini: «Gli atteggiamenti di Martinez si commentano da soli. Ma è assurdo penalizzare l'intera categoria con regole che la mortificano ulteriormente».
«Il ruolo si è modificato seguendo l'evoluzione del calcio - sottolinea Ivano Bordon -. Ma le nuove norme sul penalty sono paradossali: non può restare totalmente immobile sulla linea di porta e il rigore rimane comunque una sfida psicologica tra due protagonisti con una tensione alle stelle impossibile da anestetizzare».
Dello stesso parere Gianluca Pagliuca: «Non siamo robot, le piccole provocazioni fanno parte del gioco. Così Martinez ha fatto vincere al suo Paese la Coppa del mondo. E di ciò gli argentini gli saranno grati per l'eternità». Stesso debito d'affetto degli inglesi del Liverpool per i «clown» Grobbelaar e Dudek.
I loro balletti che valsero ai Reds una coppa dei Campioni (nell'84 contro la Roma) e una Champions (nel 2005 contro il Milan), ancora oggi turbano i sonni di Conti, Graziani, Pirlo e Shevchenko che si fecero ipnotizzare dal dischetto. Per i tifosi della «Maggica» e del Diavolo, incubi rigorosamente indelebili.
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