L'inno alla diversità suona davanti al tripode finalmente acceso in uno stadio vuoto: non sono note ma immagini. Lo suona Naomi Osaka, 23enne tennista da copertina, si tratti di Sport Illustrated, Time o Vogue, che se la passa bene sia in costume da bagno sia con la racchetta, la sportiva che guadagna di più al mondo chiamata ad accendere il tripode da un Paese che non l'aveva digerita. Quasi profetica, o forse già sapeva, poco tempo fa Naomi ha pubblicato la foto sexy apparsa su Sport Illustrated con questa scritta: «Prima donna haitiana e giapponese in copertina». E il Giappone stavolta ha scelto la copertina dei Giochi investendo sulla sua celebrità anziché tornare a mal sopportare quella doppia appartenenza, aggravata dal fatto che Naomi ha passato tanta vita negli Stati Uniti e, fino a qualche tempo fa, non parlava giapponese.
Nel colpo di coda Tokyo ha voluto stupire: non solo con i tre pittogrammi che hanno alternato in modo originale i simboli di ogni sport, ma affidando ad una campionessa al di fuori delle regole l'attimo sublime della celebrazione. Naomi senza mascherina pareva una sfida a questi ultimi due anni. Naomi, in maggio, lasciò il Roland Garros mettendo al centro dell'interesse la questione della salute mentale degli atleti, strascico di uno stato depressivo che la prese nel 2018. Da quel giorno si è defilata. Fino a ieri: riapparsa tesa e con l'emozione del sentirsi nella storia.
Cerimonia di quattro ore, ma per fortuna dopo mezzora un filmato sui campioni ha ricordato che di sport si trattava. Stadio deserto dove gli atleti cercavano di esultare come vedessero quel pubblico che non c'era. Bello sforzo! Argentina in un valzer degli allegroni come pure gli azzurri. Valeva la presenza, ha raccontato Jessica Rossi, portabandiera insieme a Elia Viviani. «Bellissimo tutto. I compagni che alla consegna della bandiera incitavano e urlavano. L'ingresso nello stadio, l'emozione, te la godi davvero». Italia in divisa sfolgorante di bianco, rosso, verde. Bandierone, ma anche bandierine fra le mani. Macedonia di colori che sfavillavano nelle divise di ogni delegazione, mascherine toglievano qualcosa ad emozione e gioia. Delegazione Italia con 111 persone, per 21 discipline, 18esima nazione a sfilare sulle 206 previste.
In tribuna la first lady Usa Jill Biden, in veste di capodelegazione olimpica, e volti dello sport che fu: Sergey Bubka e Valentina Vezzali, Naval El Moutawakei, prima musulmana oro alle olimpiadi, Ashimoto Seiko, oggi organizzatrice, con pedigrèe di 7 partecipazioni ai Giochi. In pista facce che raccontano lo sport che cambia: portabandiera uomo e donna in gran parte (solo 21 in solitario). Chad Le Clos e Lazlo Cech a tener alto il nuoto. Churandy Martina sprinter dell'atletica per l'Olanda insieme ad uno skateboard: mix di tradizione e novità. La strana scelta della Giamaica dove Shelly Ann Fraser, regina dello sprint, si accompagnava a Ricardo Brown, pugile gigante ma niente più. Diversi uomini e donne del pugilato fra i portabandiera: perfino da nazioni inattese come Mauritius. Eppure la boxe ha rischiato di non esserci. Atletica, nuoto, sport individuali rappresentati in bel numero: più degli sport di squadra. San Marino con nome italiano: Arianna Valloni del nuoto. Serbia nella tradizione: Sonja Vasic per il basket, Filip Popovic nella pallanuoto. Stravaganza di un Portorico, forte con baseball, basket e boxe, che schiera due campioni del tennis tavolo. E così Alberto di Monaco la cui portabandiera, Xiaoxin Yang, è pongista di origine cinese al di là di ogni filosofia di pensiero. Immagini di un mondo senza barriere, globalizzazione senza retro pensieri, nazioni magari con due-tre rappresentanti appena. E dietro alla Grecia, prima a sfilare, è toccato ad atleti del team dei rifugiati che annovera fra i tecnici Niccolo Campriani. Un po' di Italia dovunque, con gran finale di Paola Egonu: le sue mani fra quelle dei sei personaggi che hanno portato la bandiera olimpica.
Infine la grande adunata con Usa e la regina del basket Sue Bird, Francia che pregusta le prossime Olimpiadi, Giappone che ospita con la piccola lottatrice Yui Susaki e Rui Hachimura, gigante del basket. Immagine che vale il senso dello sport: mini e maxi, piccolo e grande, per tutti c'è una chance.
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