L'Insigne-day non coincide con il giorno del Genoa. Scortato al «Maradona» da oltre mille tifosi, il Grifone ci lascia le penne, retrocede e il presidente Zangrillo non va in cerca di alibi: «Meritiamo la B perché abbiamo commesso errori e sbagliato partite ma la colpa più grande è aver tradito i nostri tifosi». Ci volevano i tre punti per alimentare il sogno, il miracolo, cioè la salvezza ma il Napoli non è stato al gioco, come quarant'anni fa: allora regalò ai liguri il pari che mandò in B il Milan. Altro calcio, altri tempi anche se, a parte la difesa del terzo posto (ora matematico) e la festa per l'addio del capitàno, gli stimoli della squadra di Spalletti non erano e non potevano essere gli stessi dei rossoblù. Che sono partiti come razzi, agevolando le continue amnesie di Koulibaly, facendo tremare di brutto Ospina con Portanova e scuotendo la traversa con Yeboah.
Mezz'ora è durato il dominio genoano, prima che Anguissa s'impossessasse delle chiavi del centrocampo: manovra più fluida, rete del vantaggio con la capocciata di Osimhen e raddoppio sfiorato a ripetizione. Più o meno quello che è successo dopo l'intervallo: Genoa all'attacco con la forza della disperazione ma poco concreto, partenopei sornioni e approfittatori: Hernani fa la frittata con il mani che regala a Insigne rigore e gol dell'addio («purtroppo io e il club abbiamo fatto questa scelta»).
Spalletti, fermo come una statua per tutti i 90', ha omaggiato lui e Mertens: «Lorenzo già lo rimpiango, Dries ha parlato con il presidente e credo che rimarrà».Il resto è sentimento: i genoani piangono e fanno coraggio ai rossoblù, lacrime per Lorenzo che saluta. Ma sono lacrime d'amore.
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