Un ko che fa squadra. Il Milan è senza paure e con sedici punti in più

Da una sconfitta era partita la rifondazione rossonera, da questo tonfo la voglia di scudetto

Un ko che fa squadra. Il Milan è senza paure e con sedici punti in più

«Da tempo non vivevamo le brutte sensazioni di una sconfitta». Stefano Pioli è partito dal clima di domenica notte nello spogliatoio di San Siro per raccontare quanto lungo sia stato il viaggio per attraversare il deserto e tornare al comando del calcio italiano. 304 giorni, per la precisione statistica: sembra un secolo fa, 8 marzo col Genoa la precedente sconfitta e invece c'è stato di mezzo un mondo, una pandemia, due blocchi di due diversi campionati e molto altro ancora per tacere dei commenti acidi riferiti agli errori dell'arbitro Irrati («facci giocare 20 minuti finali più recupero in 11 contro 10, dacci il rigore al 903esimo» i più teneri). «Non abbiamo perso l'identità. Potevano spaventarsi i miei dopo la positività di Rebic e Krunic e invece non hanno avuto paura perché abbiamo dei valori» è la sua spiegazione che convince più di ogni altra.

A battezzare questo nuovo Milan provvide la sconfitta nel derby (prima 2 a 0 e poi 2-4) di febbraio 2020 a testimonianza che dietro un insuccesso, guadagnato con 7 titolari assenti, può nascondersi più di una buona notizia. Segnalata anche da analisti di fede juventina tipo Alex Del Piero («mi ha impressionato più il Milan che la squadra di Pirlo») oltre che dallo stesso Pioli che ha messo l'accento solo sulle disattenzioni in materia di gol, argomento che tira in ballo le prestazioni insoddisfacenti di Romagnoli (da un bel pezzo) e di Theo Hernandez uscito a pezzi dal duello con Chiesa. I numeri sono sempre dalla parte dei milanisti e non c'entra il primato conservato: riferimento esplicito ai 16 punti in più rispetto a un anno prima e alla capacità di sfornare gol per la 36ª volta che non è un record in assoluto ma nemmeno un dato irrilevante.

Di irrilevante, a dire il vero, c'è la boutade di Massimiliano Mirabelli, l'ex ds dell'epoca per fortuna dimenticata del misterioso cinese, secondo il quale «mezza squadra attuale è quella creata da noi». Trattasi di falso storico conclamato e documentato facilmente: basta scorrere la formazione dei titolari e della panchina per accorgersene. Gli unici due, eredità di quella sciagurata stagione, sono Kessie e Calhanoglu, proprio il turco uscito acciaccato dalla sfida con la Juve (problemi a una caviglia) e perciò assente domani sera contro il Toro, gara nella quale l'unico in grado di recuperare è Tonali perché ha scontato la squalifica. Piuttosto qualche rimpianto può fare scuola con le notizie che arrivano dalla Francia dove il brasiliano Paquetà, guidato da attestati di fiducia, sta andando incontro a una striscia di brillanti prestazioni che devono far pensare e meditare sui giudizi frettolosi espressi sul conto di taluni talenti. Alla fine, a massaggiare il cuore dei milanisti, è intervenuto un conteggio suggestivo dettato dalla presenza di Daniel Maldini nell'ultimo tratto della sfida con la Juve.

Ha collezionato il gettone numero 6 che addizionato a quelli di Paolo (647) e a quelli del nonno Cesare (347) fanno la bellezza di 1000 presenze complessive. Una vera dinastia che brilla in una settimana immalinconita dalla prima sconfitta che ha un sapore meno amaro.

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