La bolla poi più nulla. La bolla, quella in cui, nella stagione 2019-20 prolungata dalla pandemia fino all'11 ottobre, si disputarono gli ultimi mesi del campionato Nba e i Los Angeles Lakers vinsero il titolo, guidati da LeBron James. LeBron che a LA era andato apposta nell'estate del 2018, così come apposta, otto anni prima, era approdato a Miami. LeBron, uno e unico, quello che dove va vince. Però nei Lakers è arrivato solo quel titolo in quattro anni, dopo la mancata qualificazione ai playoff 2022 arrivata aritmeticamente l'altra notte, conseguenza dell'ottava sconfitta consecutiva, oltretutto contro quei Suns che già dodici mesi fa avevano sbattuto fuori i gialloviola nel primo turno.
LeBron è questo: al centro di tutto, capo spirituale, mostruosamente efficace anche ora che ha 37 anni, magnete di talenti. Anthony Davis, ad esempio, e Russell Westbrook: giunto nell'estate del 2019 il primo, dieci mesi fa il secondo, anche per sconfiggere la nomea di magnifico non-vincente maturata nei tredici anni precedenti. E invece nulla: a causa degli infortuni il trio LeBron-Davis-Westbrook ha giocato assieme solo 21 partite su 79, delle quali tra l'altro i Lakers ne hanno vinte solo 11, mostrando dunque che nemmeno a ranghi completi - e nella Nba tre tizi del genere costituiscono ranghi completi quasi a prescindere dai restanti colleghi - questa squadra aveva mostrato lampi incoraggianti.
Vero, sempre per via dei tanti problemi fisici e di un focolaio di
covid, a dicembre, il coach Frank Vogel ha dovuto ruotare 24 uomini e usare 39 diversi quintetti base, ma sono numeri che si perdono nel risultato finale. Quello di un anno che LeBron, e i Lakers, vorranno dimenticare presto.
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