"Arriva nella vita di ogni uomo un momento in cui bisogna dire che quando è troppo è troppo e per me questo momento è arrivato", le parole di Lance Armstrong, che annuncia di non voler contestare le accuse di doping mosse dall’Usada. "È dal ’99 che ho a che fare con questi sospetti, negli ultimi tre anni sono stato oggetto di un’indagine federale cui ha fatto seguito questa caccia alle streghe voluta da Travis Tygart (il direttore dell’agenzia antidoping americana. Il dazio che la mia famiglia e il mio lavoro per la fondazione hanno dovuto pagare mi spinge a chiuderla qui con questa storia senza senso".
Armstrong alza bandiera bianca. Ed è strano per un combattente come lui. Spiega di non voler partecipare a un processo "a una sola direzione e non equo" e ricorda che le uniche prove sono "le centinaia di test a cui mi sono sottoposto". Per il texano "sin dall’inizio questa indagine non aveva lo scopo di arrivare alla verità o di far pulizia nel ciclismo ma quello di punirmi a ogni costo. Mi sono ritirato, eppure l’Usada muove delle accuse relative a un periodo di 17 anni nonostante possa limitarsi a otto anni". Il sospetto è che questa sia anche un’indagine molto politica vista la prossima, probabile discesa in campo di Armstrong. Ma, politica a parte, ciò che lascia più interdetti di questa crociata è che arriva davvero troppi anni dopo i fatti che vuole dimostrare. Troppi per pensare che l’Usada si sia mossa solo per amore della verità. E Armstrong attacca: "Io so chi ha vinto quei sette Tour de France, lo sanno i miei compagni e i miei avversari. Abbiamo corso tutti assieme, per tre settimane sulle stesse strade, sulle stesse montagne, contro le stesse avverse condizioni atmosferiche. Non c’erano scorciatoie o trattamenti speciali, era la prova più dura al mondo dove vince il più forte. E nessuno potrà mai cambiare questo, soprattutto Tygart". Ma Armstrong non ha più voglia di lottare per dimostrare la sua innocenza: "Oggi volto pagina – annuncia – mi dedicherò al lavoro che ho cominciato prima ancora di vincere il mio primo Tour, ovvero aiutare le persone e le famiglie colpite dal cancro. A ottobre la mia Fondazione festeggerà i 15 anni di servizio a favore di queste persone e ho una responsabilità nei confronti di tutti coloro che hanno dedicato tempo ed energie a questa causa. Vado avanti, mi dedicherò a crescere i miei cinque bellissimi figli, a lottare contro il cancro e a provare a essere il 40enne più sano del pianeta".
Fine di un’epoca. Fine di un’epoca anche per il ciclismo e c’è davvero da chiedersi a chi potrà giovare tutto questo. Forse anche che senso ha intestardirsi su un’indagine a così tanti anni di distanza e perchè chi doveva inchiodare il texano non lo ha fatto quando ancora era in sella. Si cancella un’era, si cancellano quasi vent’anni di ciclismo. Solo restando in Francia, solo restando al Tour c’è da chiedersi a questo punto cosa resterà. Dal 1996 con la vittoria di Bjarne Riis al 2010 con quella di Alberto Contador la grande boucle rischia di non avere un podio. Rischia di non avere un vincitore ma anche un secondo o un terzo. La lista degli squalificati è praticamente infinita. Ci sono dentro tutti.
Da Landis a a Ullrich, da Kloden a Basso, da Beloki a Pantani, da Zulle a Escartin, da Rumsas a Vinoukourov a Menchov. Mancava Armstrong. Mancava il campione più odiato e più amato, l’eroe o il demone, il mito o il grande baro. Chissà…- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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