Traballa l'Italia dell'atletica ormai sull'orlo del precipizio come ha traballato ad ogni salto l'asticella di Gimbo. Solo che mentre una pare affondare inesorabilmente, l'altro è sembrato risorgere nonostante la sconfitta. Perché fin qui, a Londra, restiamo aggrappati a un sesto posto diventato quinto al fotofinish e tornato sesto dopo le proteste altrui centrato nella maratona e firmato dal bravo e volenteroso Daniele Meucci. Dopodiché, sognando cose grandi che profumassero almeno di finale, ci eravamo affidati, con sobrie speranze vista la rivoluzione tecnica che sta affrontando e la necessità di metabolizzare i cambiamenti, alla volontà forte di Alessia Trost. Niente. Fermata nelle qualificazioni dell'alto. Per cui, via lei, rivolgere tutte le nostre attenzioni e speranze a Gianmarco Tamberi è stata questione di un attimo, di un respiro, un pensiero: perché la disciplina è la stessa, perché il tecnico è lo stesso, papà Marco Tamberi, e perché mentre si sprofonda anche quello acciaccato e più ammaccato di tutti ma che sta sul ciglio della palude sembra sano come un pesce e forte più che mai.
Ma non lo è ancora, Gimbo Tamberi. Lo tornerà. Intanto ci ha regalato un sogno. E l'ha condiviso con noi anche se vere tristezze e sofferenze sono state tutte sue. Abbiamo sognato con lui perché, ancora a distanza di un anno, la sua storia resta enorme e commovente: a metà luglio della passata stagione era il saltatore più in forma del mondo, era il predestinato al podio olimpico di Rio, il suo nome riempiva gli stadi e aveva appena migliorato il proprio personale volando a 2 e 39 quando, due centimetri dopo, a 2 e 41, si era rotto la caviglia.
Il calvario è noto. Gesso, stampelle e due operazioni distanti mesi l'una dall'altra. «In pratica sono qui con un mese e mezzo di vero allenamento specifico per l'alto», aveva detto tre giorni fa alla vigilia delle qualificazioni. E ieri, disperato, ha detto altro. Troppo severo anche con se stesso. Perché sognava l'impresa Gimbo, il sogno appunto condiviso con noi di un podio. Poteva prevedere che Mutaz Barshim sarebbe volato senza problemi e così l'ucraino Bohdan Bondarenko, il tedesco Mateusz Przybylko e il giovane russo senza nazione Danil Lysenko, ma non poteva pensare che per la prima volta l'accesso alla finale si sarebbe deciso a 2 e 31. Da qui il modo entusiastico con cui aveva festeggiato il passaggio del 2 e 29, mimando il segno del «poi mi faccio la mezza barba», preludio alla finale. Invece dopo il 2 e 29 erano rimasti in gara in diciassette, mai accaduto, e Tamberi ha pagato i tre errori commessi nei salti precedenti. «Non ho neanche più la forza di muovermi pensando a tutto quello che ho fatto per essere qua», dirà. E poi, disperso in quelle lacrime che come tutti i suoi gesti spontanei lo hanno reso così vero e amato, «non me lo meritavo di uscire in questo modo, non pretendevo di fare il supereroe, però so di valere di più. Ho dato tutto e non me la sento di scusarmi per la prestazione (ha centrato il proprio personale stagionale)...
Vedrete, tornerò al 100%, mi rialzerò perché mi sono sempre rialzato anche se oggi mi sento addosso tutto il peso di ciò che ho fatto per arrivare fin qui». Gimbo si rialzerà eccome. Il problema è se la nostra atletica saprà fare altrettanto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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