Una lezione olimpica dalla meglio gioventù alla migliore saggezza

Quel filo conduttore che unisce i 19enni Furlani e Pilato, il 32enne Tamberi e il 72enne Velasco

Una lezione olimpica dalla meglio gioventù alla migliore saggezza
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Le tre età di questa olimpiade raccontano e riassumono meglio di tutto, certamente meglio della conta delle medaglie, che cosa siano i Giochi e chi siano i giocatori. Valori olimpici, impegno e abnegazione, gioia e dolore, cuore e testa rivolti al futuro, saggezza e riflessione.

Le tre età dell'olimpiade, come la vita, iniziano dai giovani, sono l'età di due diciannovenni, Benedetta Pilato e Mattia Furlani, sono la ragazza con il sorriso per un bronzo nel nuoto mancato per un centesimo a cui nessuno crede e quel nessuno è solo un cretino, e il bronzo afferrato volando verso il futuro nel salto in lungo. Benedetta che spera «di aver smosso» la sua generazione, perché «dicono che noi giovani siamo svogliati, che se finisci l'università in dieci anni sei sbagliato, io non sono una che si accontenta, a nessuna piace perdere, ma quando arrivo quarta non posso chiedere di rifare la gara e accetto quello che viene. Quel giorno ho capito di valere, per questo ero contenta». Dedicato a quel popolo di malfidenti convinto che non si possa essere felici senza il podio. Come fa quel popolo - è il messaggio dietro lo sconcerto di Benedetta per l'impatto avuto dalle sue parole - come fa quel popolo, che poi sono quasi tutti, a non comprendere che se non sai essere felice per aver dato tutto per un obiettivo e la tua passione, rischi di non esserlo mai nella vita.

Mattia ha ancora i granelli di sabbia che gli scendono dalle braccia portati dal sudore, quando pronuncia il suo manifesto, che poi è il manifesto di tutti i giovani. «Dateci tempo, smettetela di soffiarci sul collo, un anno fa mancavo la semifinale, oggi sono bronzo alle Olimpiadi, vale per me, vale per tutti i giovani, fiducia e tempo vi chiediamo, e non vi deluderemo».

Le tre età delle olimpiadi proseguono con la maturità delle scelte. È quella del trentaduenne Gianmarco Tamberi, non Gimbo, Gianmarco, perché i soprannomi a volte distraggono. Tamberi ha fatto e provato a fare tutto ciò che l'Italia e persino il mondo ormai conoscono perfettamente. Non c'è riuscito, ma a dolore e rabbia e sconfitta incolpevole non ancora metabolizzate, il suo pensiero non è andato allo sport, ma a sua moglie, «ai sacrifici fatti assieme in questi ultimi tre anni, a lei che ha messo tutto in secondo piano rispetto ai miei obiettivi, a lei che oggi avremmo già una famiglia se non avessi avuto il chiodo fisso dei Giochi Per cui adesso vedremo, mondiali nel 2025? Giochi? Vedremo. Prima viene Chiara, prima la nostra famiglia».

L'ultima età delle olimpiadi è quella della saggezza e della consapevolezza. Quella in cui bisogna avere la forza di fare bilanci guardando al futuro, non al passato. Ed è l'esercizio più difficile che ci sia, sia nell'ultra vita a mille all'ora chiamata sport, sia in quella molto più lenta, a volte confortevole, a volte terribile, chiamata vita vera. Perché i bilanci si basano sui fatti e i fatti sono il passato. Julio Velasco ci ha dimostrato che invece si possono fare bilanci pensando al futuro.

«Basta rammaricarsi per un oro perso trent'anni fa, io non sono Baggio che ancor oggi non si dà pace per il rigore sbagliato, il passato finisce e poi svanisce e adesso che con queste meravigliose ragazze ho vinto l'oro, sapete che c'è? Che forse è venuto il momento di smettere».

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