L'Italia che non si arrende. Bartali vince e "cancella" il Giro fantasma del '42

In piena seconda guerra mondiale una corsa a punti con otto prove in un clima surreale

L'Italia che non si arrende. Bartali vince e "cancella" il Giro fantasma del '42

Siamo in guerra, contro un nemico carogna e invisibile. Siamo in guerra, quante volte l'abbiamo letto o sentito nei notiziari in questi giorni lenti e interminabili di quarantena. E dire che il Giro l'ha fermato solo le due guerre e il Fiandre ha perso tre edizioni per la Grande Guerra.

Al tempo del coronavirus si è fatto e si sta facendo di tutto per non perdere i sogni. Per fare in modo che tutta l'attività sportiva, con i suoi grandi appuntamenti, possa tornare ad accompagnare le nostre giornate quanto prima, quando tutto sarà tornato alla normalità. Il ciclismo si è fermato, ma è pronto a riorganizzarsi e a trovare date e collocazioni nuove, per non perdere nulla della preziosa argenteria: dalla Sanremo, al Fiandre, dalla Roubaix al Giro. C'è la consapevolezza di fermarsi, ma c'è anche la volontà di rimettersi in moto quanto prima per provare a salvare tutto il salvabile. È una storia che si ripete: nei momenti più difficili si va alla ricerca di energie nascoste per gridare la propria voglia di vivere. Per continuare a pensare che la vita è meravigliosa.

Anche durante la Seconda guerra mondiale si è provato fino all'ultimo a correre: come se non ci fosse un domani. A maggior ragione per timore di non arrivarci a domani. Si è corso un Giro d'Italia clandestino, di cui abbiamo solo qualche cenno di cronaca e poco di più. Un Giro che finirà a Gino Bartali, anche se lui non l'ha mai considerato degno di menzione.

È un Bartali che non china la testa e non alza il braccio: Benito Mussolini lancia l'Italia in guerra. È il 10 giugno 1940. L'Italia esulta, ed è ebbra di gioia. Bartali molto meno. Le guerre non vanno mai bene, e questa, poi, sarà dolorosa e non breve. Gino lo sa. Tutto sarà interrotto, o limitato al minimo. Addio vittorie, addio gloria, addio quattrini.

In verità il Governo consente a chi ne ha le possibilità e la voglia, di continuare ad organizzare corse, ma gli appuntamenti agonistici si diradano sempre di più. Gino continua a pedalare, se non altro perché per lui è un modo come un altro per non pensare. E si consola, a fine stagione, con un Giro di Lombardia e una maglia di campione nazionale.

Corre anche un Giro che nessuno più ricorda, e che nessuno ha voglia di ricordare: nemmeno lui. Quello del 1942 e una corsa che ha solo le sembianze di un vero Giro. Non sono in programma tappe una dietro l'altra, e non esiste nemmeno una classifica generale. Ci sono otto prove distinte, e una classifica a punti. I corridori si presentano al via e provano anche a darsi battaglia, mentre attorno a loro la battaglia c'è davvero: c'è la guerra. Strade vuote, i corridori gareggiano in un clima surreale. Gino non vince nessuna delle otto prove.

Ottiene solo una serie di piazzamenti: vince la corsa con due punti di vantaggio su Favalli e sette su Leoni. Una vittoria che nessuno ricorda. Una vittoria che per gli annali e gli almanacchi del ciclismo nemmeno esiste nemmeno più.

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