di Elia Pagnoni
Come si fa a non stare dalla parte di Aurelio De Laurentiis nella vicenda Spalletti-Nazionale? Se non con il metro della simpatia (che non abbiamo mai concesso al presidente napoletano), almeno con quello della logica. Ma per quale motivo il patron campione d'Italia non dovrebbe pretendere il rispetto della clausola di salvaguardia che ha applicato al tecnico nel momento in cui il toscano si è congedato da Napoli dicendo di essere «molto stanco». Una stanchezza che evidentemente è stata assorbita rapidamente, visto che l'allenatore dell'ultimo scudetto ha già deciso di tornare al lavoro, stimolato dal prestigio (unito all'offerta economica) di guidare la Nazionale. De Laurentiis, che certo non è senza macchia in fatto di comportamenti, oltre che di vittimismo (dalle vicende legate all'acquisizione del Bari al famoso Juventus-Napoli del Covid), ha giustamente fatto notare che se la federcalcio può permettersi di offrire 9 milioni netti in tre anni a un tecnico, può trovare anche i soldi necessari per liberarlo dal suo contratto precedente. Anche se qualcuno fa notare che l'Italia non è una concorrente diretta del Napoli.
Semmai in questa vicenda stupisce proprio come Gravina non si sia mai garantito con una clausola di questo tipo per blindare il contratto e le prestazioni del suo ct Mancini, che dopo essere stato difeso oltre ogni logica dal presidente, persino davanti alla più clamorosa eliminazione mondiale della nostra storia, ha pensato di riversare sul numero uno della Figc tutte le colpe di un rapporto finito male solo perché il Mancio ha deciso di percorrere altre strade.
Ma proprio per questo è giusto che De Laurentiis faccia rispettare i diritti del Napoli, al di là delle solite cadute di stile sul vil denaro e la banalità di tre milioni per un uomo della sua levatura economica. Una liberatoria che va pagata al Napoli anche se dall'altra parte c'è il tifo di stato per la squadra di tutti gli italiani. Perché il momento dell'oro alla patria è già stato archiviato da un pezzo. Per fortuna.
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