«Non ricordo niente dell'ultimo punto, di come abbia battuto Nole e vinto questo torneo inseguito per otto anni, so solo che ho avuto la forza di reagire dopo aver mancato tre match-balls consecutivi. Un anno fa piangevo di dolore, adesso di gioia». Allora Andrew Barron Murray, per tutti Andy, non riuscì a superare Roger Federer all'ultimo successo in uno slam. Nel corso di quella premiazione lo svizzero gli disse: «Presto vincerai qui a Wimbledon, ne sono sicuro, lo meriti perché sei un ottimo giocatore e un grande uomo». La profezia s'è avverata alla prima occasione e ha cancellato, vivaddio, la maledizione di Fred Perry che dal 1936 ha impedito a un tennista britannico di succedergli nell'albo d'oro. Ne sa qualcosa Tin Henman sconfitto per quattro volte in semifinale dal 1998 al 2002. Questa volta Murray ha infranto il tabù superando nettamente il serbo Djokovic in 3h e15' con il punteggio di 6-4 7-5 6-4. E poco importa se il nuovo re di Wimbledon è uno scozzese dai capelli rossi. Al pari del connazionale Alex Ferguson, potrebbe ricevere dalla regina Elisabetta il titolo di sir dopo aver conquistato in un anno il titolo olimpico, lo slam degli Us Open e adesso il major dei major, quello di Londra. I bookmaker ne sono convinti. Sul piano della popolarità non ha rivali: piace alle ragazze come alle nonne, per gli uomini è un punto di riferimento. Nel box reale il premier inglese ha abbracciato quello scozzese. Poco più in là, la mamma di Djokovic ha stretto a sé la mamma di Murray dimostrando che si può essere avversari senza essere nemici. Chissà se lo capiranno gli ultras del calcio.
Nel ranking Andy resta dietro Nole, ma la caccia alla leadership è solo cominciata. Ivan Lendl, che da un anno e mezzo ne è il coach, ci crede: «Basta che Andy sia più aggressivo nelle risposte al servizio e nel gioco da fondo, migliori il servizio e abbia più autostima». In quest'ultima finale il suo allievo ha recitato a memoria il copione scritto alla vigilia al punto da mettere sotto pressione l'avversario fin dal primo game. Una macchina da guerra. Nel servizio ha avuto l'arma più efficace perché, a parità di prime palle, ha messo a segno più ace (9 a 2) e ottenuto un maggior numero di punti (72% contro 59%). Nelle risposte al servizio è stato micidiale con il 48% di punti rispetto al 39% del rivale. E ancora: più vincenti (36 a 31) e soprattutto meno errori forzati (21 a 40).
Un dominio importante con un gap di 18 punti a suo favore (114 a 96). Djokovic, che alla vigilia si augurava di appaiare McEnroe e Wilander con il settimo sigillo in uno slam, ha riconosciuto la superiorità dello scozzese: «So quanta pressione ha dovuto gestire per vincere questo torneo dopo la finale persa dell'anno scorso. Si merita il trofeo perché ha giocato meglio. Io ho avuto una grande chance nel secondo set, ma non l'ho sfruttata».
Già perché il serbo, dopo aver perso la frazione d'apertura cedendo il servizio al settimo game, non è riuscito a gestire un vantaggio di 4-1 nel secondo set. Poi il ragazzo dai capelli rossi, in trance agonistica, ha superato ogni difficoltà anche quando s'è fatto annullare tre match-ball consecutivi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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