Giù il sipario: le commedie sono finite. Tra le poche verità affiorate nella storia tumultuosa fra Roberto Mancini, il presidente Gravina e la nazionale italiana, resta l'unica certezza: oggi l'ex ct azzurro prenderà possesso della nazionale araba e della montagna di milioni garantiti. Si dice 25 netti a stagione esentasse fino al 2027, anno della Coppa d'Asia organizzata per la prima volta dall'Arabia saudita. Insomma il nostro andrà all'incasso per non meno di 80 milioni che, tra bonus ed altro, potrebbero diventare 90. «Ho fatto la storia in Europa, ora è tempo di fare la storia in Arabia Saudita», così Mancini nel video che ufficializza il suo arrivo dopo l'accordo firmato tra venerdì e sabato. Parole che anticipano la conferenza stampa di oggi in un hotel di Riad.
Mancio si porterà gran parte dello staff azzurro che, peraltro, godrà di un buon incremento di ingaggio. Forse proprio lo staff sarà il più appagato da questa storia: Mancini ha messo la faccia e in parte se l'è rovinata, gli altri non saranno tacciati di tradimento. L'ex ct ha già letto il concetto su giornali e social e, forse, non si aspettava di prendere facciate di tal genere: «Mi hanno trattato come il mostro di Firenze».
Ora le correnti di pensiero su una storia, comunque poco edificante, vissuta dal calcio italiano sono due: ipocrisia del moralismo o consapevolezza del realismo. In assenza di salde motivazioni (amor patrio a parte) c'è tendenza all'ipocrisia del moralismo. E, comunque, Mancini non ne esce bene: ha ragionato a voce alta troppo tardi rispetto ai dubbi che gli erano venuti. Dubbi, ovviamente, promossi anche dalle offerte arabe. In giugno la Federcalcio locale aveva pesato due ipotesi: Zidane o Mancini. Il francese ha rifiutato, il nostro ci ha pensato. Mettete pure che gli ultimi risultati della nazionale non sono stati esaltanti (qualcuno sarebbe sorpreso se non si qualificasse agli europei?), aggiungete la rivoluzione voluta da Gravina, con qualche eccesso nel far fuori alcuni uomini del ct e nell'inserire personaggi a lui più graditi.
Senza dimenticare quanto possa aver pesato l'assenza di Luca Vialli: visto il rapporto fra i due e il modo più romantico di Luca di pensare calcio, forse ci sarebbe stato un freno e un ragionamento più approfondito. I soldi non sono tutto, ma servono. Mancini, che al danaro è affezionato, avrà pensato che certe vagonate di milioni passano una sola volta anche se magari non potrà liberarsi gratis dal contratto con la Figc. E qui parla la consapevolezza del realismo: l'operazione Gravina gli aveva dimostrato che il ciclo era terminato, le partite degli azzurri anche. Consistente il rischio di essere cacciato nel giro di un anno. Il qualunquismo del tifo italiano indica sempre nei ct i colpevoli delle disfatte. E tanti dimenticano che i primi colpevoli sono i giocatori, che sbagliano rigori facili e regalano papere. Mentre i successi sono di tutti.
Ora, invece, Mancini ci ha ricordato che il calcio è solo business: al diavolo l'idea di tornare in un club come gli frullava da qualche tempo. Andrà ad infilarsi nel Paese che sta portando la più grande offensiva tecnico-economica all'Europa dominatrice del mondo pallonaro: non solo giocatori strapagati ma tutto quanto fa business, tv comprese. Mancini sarà una delle bandiere. Il programma prevede l'esordio l'8 settembre in amichevole contro Costarica, il 12 toccherà alla Corea del Sud. Entrambe a Newcastle, nello stadio di proprietà del fondo sovrano Pif: non a caso. A novembre le qualificazioni ai mondiali 2026. In gennaio a Doha la coppa d'Asia.
L'Arabia non vince la coppa dal 1996. In caso di successo Mancio si troverebbe campione d'Europa e d'Asia. Ma sarà difficile smacchiare la fuga dall'Italia. E, magari, farà passare Gravina dalla parte della ragione: autogol.
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