Un Re Mida, fra l'altro pure miliardario. Perché qualsiasi cosa tocca Dietrich Mateschitz non la trasforma in oro, ma in successo. Specie da quando, nel 1984, ha fondato l'impero Red Bull, la bibita che è di fatto una miscela di caffeina, vitamine, aminoacidi taurina e altre sostanze che dovrebbero aiutare il corpo a compiere sforzi speciali e di lunga durata. Dalla fine degli anni 90 la Red Bull è in vendita anche in America e da quel momento ha conquistato il mondo, aiutando Mateschitz a creare successo anche in varie discipline sportive. Le più quotate (ma non le uniche): calcio, automobilismo e motociclismo. Nel 2006 sono state vendute per la prima volta più di tre miliardi di lattine di Red Bull in tutto il mondo, e appena due anni più tardi c'è l'attacco aperto a uno dei più grandi colossi del pianeta con la creazione della Red Bull Cola.
Il messaggio era chiaro: Mateschitz non ha paura di nessuno, Coca Cola compresa. Proprio per questo fra Germania e Austria si è fatto diversi nemici. Gli ultrà, che da sempre si dicono sostenitori del calcio romantico, lo contestano perché con i suoi soldi e il merchandising avrebbe contaminato il mondo dello sport. Per fare un esempio: tolte alcune eccezioni (come il Bayer Leverkusen) in Germania le società di calcio non possono portare il nome delle aziende. Il Lipsia infatti non si chiama Red Bull, bensì Rasen-Ballsport, cioè sport da palla su prato, un termine coniato da Mateschitz per permettergli di utilizzare l'acronimo RB. Il paradosso è che perfino i tifosi delle sue squadre, nonostante i successi, lo contestano: a settembre del 2016, a fine mercato, l'allora tecnico della RB Salisburgo Garcia lamentò le continue cessioni al Lipsia (16 in tre anni), definendola la figlia prediletta della Red Bull: «Siamo una succursale». Vinse il campionato ma poi lasciò. I tifosi si schierarono dalla sua parte scrivendo una lettera di protesta a Mateschitz: «Non siamo una famiglia ma il self service del Lipsia».
Altro motivo di protesta la decisione di non forgiarsi della stella d'oro dopo il decimo campionato vinto: Mateschitz non voleva sporcare il logo. Per i tifosi un oltraggio alla storia del club. Il fine (vincere e pubblicizzare il marchio RB), d'altronde per lui giustifica i mezzi. Con il mondo dello sport fermo per il Coronavirus Helmut Marko, il suo braccio destro, voleva far contrarre il virus ai suoi piloti: «Sarebbe un momento ideale per contrarre l'infezione. Parliamo di ragazzi giovani, forti. Così sarebbero a posto per quando si riprenderà».
Dalla sua però Mateschitz ha i risultati, anche perché è fenomenale a individuare giovani talenti: il Lipsia non acquista calciatori over 24, nel Salisburgo ha lanciato Haaland, in Formula 1 Vettel e Max Verstappen esplodono sotto la RB, così come Nagelsmann, primo tecnico della storia del calcio ad aver raggiunto la semifinale di Champions a soli 33 anni.
Che il Lipsia abbia eliminato l'Atletico Madrid, dopo aver battuto due volte il Tottenham finalista della scorsa edizione non deve sorprendere, così come non stupisce che nella Moto Gp con Marc Marquez fuori dai giochi i piloti RB Binder ed Espargaro stiano prendendo il sopravvento. Mateschitz alla fine vince sempre. Perché è un Re Mida, capace di trasformare in successo tutto quel che tocca.
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