
La crisi irreversibile nella quale si è avvitato il Milan non ha spiegazioni complicate. E, quanto alle responsabilità, la dichiarazione pubblica di Giorgio Furlani («siamo tutti colpevoli a cominciare da me»), declinata davanti alle telecamere domenica sera prima della sfida con la Lazio, non ha bisogno di particolari distinguo. È così e basta. Piuttosto aver smentito, come poi puntualmente verificato dopo la sconfitta maturata in pieno recupero, contrasti tra l'ad e Ibra e la sfiducia nel lavoro di Conceiçao, deve produrre da qui alle prossime settimane interventi e scelte capaci di cementare l'ambiente, narrato invece, specie all'esterno e con il concorso tossico dei social, diviso in fazioni e non solo a livello di spogliatoio. A questo punto, con il nono posto in classifica e a disposizione solo il doppio derby di semifinale in coppa Italia, non c'è nessuna possibilità di riguadagnare la zona Champions. C'è invece il concreto rischio di scivolare ancora più in basso.
E d'altro canto la frattura, velenosa, tra la tifoseria organizzata - solitamente la spinta straordinaria nelle partite domestiche - ha prodotto un effetto vizioso sulla fragilità emotiva del gruppo, già segnalata in occasione delle ultime partite del ciclo targato Stefano Pioli. Domenica notte, con mezzo stadio svuotato per protesta, e i cori polemici destinati soltanto all'indirizzo della proprietà, il Milan ha perso la sfida con la Lazio prima di cominciare. A dare pubblica conferma alla tesi sono intervenute le parole spese da Conceiçao nella notte. «C'era un ambiente strano, le scarpe erano bollenti» la descrizione psicologica dello spogliatoio, pallido e poco reattivo anche per la mancanza di leader carismatici, capaci di andare incontro alla tempesta e alla contestazione senza perdere l'orientamento calcistico. A ulteriore prova è arrivato il post di ieri mattina pubblicato da Rafa Leao con una foto del gruppo di rossoneri e sotto la scritta: «Siamo noi contro tutto e contro tutti». Per capire l'importanza della questione basta riflettere su ciò che è avvenuto a Roma dopo l'avvento di Ranieri, riconosciuto come un padre della patria: ha risanato la frattura col pubblico e portato serenità a Trigoria dove si registrava con Juric allenatore successore di De Rossi- lo stesso clima di Milanello.
Infine c'è una questione più profonda che riguarda il potenziamento della struttura manageriale del Milan e che ha come passaggio obbligato la scelta di un ds, finalmente, mai arruolato dopo l'addio di Maldini e di Massara. Da giorni siti e cronisti specializzati rilanciano lo strano scenario di un casting cominciato con tre profili sotto esame (Berta, uscito dall'Atletico Madrid e diretto all'Arsenal, Paratici ex Juve e Igle Tare, già alla Lazio e contattato dallo stesso Paolo Maldini declinando l'invito essendo sotto contratto all'epoca con Lotito). Certe scelte devono essere tempestive e diventare pubbliche quando il lavoro di preparazione è stato completato.
Nel frattempo le linee guida del futuro in materia di contratti rinnovati sono diventate ufficiali con la firma di Reijnders con scadenza 2030 e stipendio che passa a 3 milioni netti più bonus. Infine la maglia indossata domenica sera: ma chi ha scelto quei colori che richiamavano il Portogallo invece che il club storico di Milano, si è reso conto dell'errore commesso?
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