Andrea Stramaccioni - 46 anni, romano, carriera da giocatore stroncata sul nascere da un infortunio - è abituato a prendere i treni al volo. Compreso quello che ferma proprio sotto casa sua, a Doha, e che collega gli 8 stadi costruiti apposta per i mondiali.
Si illumina d'immenso l'ex allenatore di Inter e Udinese (club dove ha lasciato ottimi ricordi) quando parla del Qatar: chissà, forse è l'«immenso» del deserto, o magari l'«immenso» di un mondo pieno di contraddizioni, difficili da comprendere per noi occidentali.
Stramaccioni si è impegnato e dopo anni di permanenza tra dune, grattacieli e i canti del muezzin che scandiscono le giornata, qualcosa ha capito. In qualità di «uomo di sport», certo; ma anche come persona aperta all'esperienza di nuove culture. Circondato dai minareti delle moschee, ma con nel cuore la cupola di San Pietro; cristiano tra i musulmani, ma senza pregiudizi.
Un espatrio non da «prendi i soldi e scappa», ma pure alla ricerca di soddisfazioni morali. Come quando l'emiro del Qatar, Al Thani, si complimentò col lui per aver «europizzato» il suo club, l'Al-Gharafa.
Un aneddoto sull'idiosincrasia dei giocatori qatarini al rispetto degli orari, rende bene l'idea. «Ho cominciato col dargli delle multe - ricorda Stramaccioni -, ma facevano poco effetto su chi veniva al campo con fuoriserie da ricchi. Allora ho cambiato strategia: non convocavo i ritardatari. Così sono diventati puntualissimi».
La scelta della Rai di affidagli il commento tecnico delle telecronache della nazionali asiatiche è nata dalla consapevolezza che Stramaccioni è per competenza l'uomo giusto al posto giusto. Andrea lo sa, e in questa avventura televisiva si è gettato con passione.
E di «passione», nelle partite di Arabia Saudita e Iran, ne hai messa fin troppa. Sui social ti hanno definito «lo sceicco Strama».
«Non sono un telecronista esperto. Accetto ogni critica che possa aiutarmi a crescere. Anche se...».
Anche se?
«L'entusiasmo per la nazionale saudita era giustificato: battere l'Argentina è stata un'impresa epica. Quanto all'emotività per l'Iran, conosco molti giocatori e la situazione difficile che patiscono in patria».
E il Qatar?
«Deludente. Il lunghissimo ritiro cui sono stati sottoposti i giocatori della nazionale si è rivelato controproducente».
In compenso il Qatar ha vinto il mondiale dell'organizzazione.
«Mai prima d'ora una sola città aveva ospitato l'intera manifestazione. Servizi e strutture al top».
«Strutture al top». Ma a che prezzo? Migliaia di operai morti. E poi il nervo scoperto dei diritti negati.
«Situazioni drammatiche, però va fatto un distinguo. Il mondo arabo non è un monolite, ma un'area sfaccettata. Il Qatar è capofila fra i paesi islamici sul fronte dell'apertura ai temi civili. Un progresso negato nei territori dell'integralismo religioso, come l'Iran».
I riflettori accesi sul mondiale sono stati utili?
«Molto. Non capisco l'incoerenza di Blatter che dopo aver detto sì ai mondiali in Qatar ha fatto retromarcia, parlando di sbaglio».
Lo scandalo «Qatargate» coinvolge decine di europarlamentari e vari politici italiani: un giro di mazzette milionario.
«È gravissimo. La corruzione vanifica gli sforzi virtuosi fatti finora. I colpevoli vanno puniti severamente».
Oggi e domani, le due finali. Il tuo pronostico?
«Match equilibrati. Vedo vincenti Marocco e Francia. Ma la vera speranza è che, quando l'ultima gara sarà finita, le luci mediatiche sul mondo arabo non si spengano».
La strada verso il rispetto dei diritti civili è ancora lungo.
«Lo sport può contribuire ad abbattere le barriere. Ci credo. Lo insegnerò ai miei figli».
Tu ne hai quattro.
«Giulio, nato a Udine; Elena, nata in Grecia; Nina, nata in Iran e Lisa, venuta alla luce 5 mesi fa in Qatar».
Un figlio in ogni paese dove hai allenato.
«Merito di Dalila, una moglie fantastica che mi ha seguito ovunque. Fin da quando ero un giovane avvocato».
Si dice che tornerai presto sulla panchina di un club italiano.
«Sarei felice. I miei amici si sono già raccomandati: Andrea, però quando torni datti una calmata. Mica vorrai fare il quinto bebè?».
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