La festa è iniziata in mattinata. O forse non s'è mai interrotta dalla sera di Torino e dal memorabile gol di Raspadori. In giro per la città rigorosamente vestiti di azzurro prima di darsi appuntamento al Maradona in sessantamila, dove le squadre hanno rischiato di arrivare in ritardo prigioniere della soffocante marea azzurra. Don Aurelio era già dentro, per l'occasione autore, sceneggiatore, produttore e regista della festa annunciata. Lui che viene dal mondo dello spettacolo s'intende di queste cose, da mesi ha preparato tutto: ha piazzato telecamere e operatori in ogni posto, spogliatoi, pullman, hotel, aerei. Riprendono tutto da marzo, da quando s'è capito (e ha capito) che strada avrebbe preso questo scudetto: ha in mente di farne una serie, o un kolossal, roba di cinema insomma.
Il presidente ha atteso la squadra in compagnia di Diego. Accanto alla statua del più grande, posizionata vicino alle scale che danno accesso al campo. In compagnia di un argentino, naturalmente: il Cholo Simeone, allenatore dell'Atletico Madrid, papà del Cholito neo campione d'Italia. Aveva promesso al figlio che mai si sarebbe perso uno spettacolo del genere. Poi è arrivato Spalletti e i tre sono stati immortalati dallo scatto fotografico. Don Aurelio si era lasciato cogliere di sorpresa poco prima, non si aspettava la lettera scritta da Kalidou Koulibaly, un ex che continua a firmarsi figlio adottivo di Napoli: «Auguri presidente per il suo lavoro. Questo scudetto lo aveva promesso da molto tempo. E ora è arrivato. Le auguro tanti altri titoli. Grazie di avermi dato la possibilità di giocare per questa maglia e per questa città. Forza Napoli sempre».
Poi s'è fatta l'ora della partita, e prima di mettere palla al centro la cosa più bella l'ha fatta la Fiorentina. Fuori il sottopassaggio, si è schierata in fila su due lati concedendo ai neo campioni d'Italia il Pasillo de honor: non da tutti, il Maradona ha gradito e applaudito. «Un popolo nato sotto un cielo azzurro e in riva al mare ha il diritto di sognare! Grazie di aver dato a noi e a chi non c'è più un'altra data da ricordare» lo striscione con varie coreografie con cui è stato accolto il Napoli. Elmas, Politano e altri si sono presentati con i capelli colorati d'azzurro, Spalletti teso come al solito, il ds Giuntoli che ostenta una finta serenità.
Al fischio finale Napoli e il Napoli finalmente si abbracciano. Il capo popolo è il solito Osimhen, che si mette in testa al gruppo e riprende ogni attimo di baldoria con il proprio smartphone, Kim è irriconoscibile nel senso che è il più scatenato, nel giro di campo dove questa volta ci sono proprio tutti. Non manca Spalletti, la gente lo invoca, lui omaggia le due curve. Il Maradona urla Resta con noi, un classico, Lucianone applaude e sorride, sul viso la tensione ha lasciato spazio all'emozione.
Per sei minuti lo stadio intona Napoli torna campione, il canto struggente che da anni custodisce il sogno della città. Il carnevale continua con Edoardo Bennato, il rapper Clementino, Geolier, il premio Oscar Paolo Sorrentino. Il clou alle 21, quando l'astuto don Aurelio inizia con le domande che tutti vorrebbero fare. La prima a Giuntoli che glissa: vinciamo ancora? «Sono super felice, un insieme di momenti indescrivibili che porterò sempre con me. Sto cercando di realizzare quello di straordinario che abbiamo fatto, voglio godermela, c'è tempo per pensare al mio futuro. Sento parlare sempre di ciclo, di giocatori ne abbiamo comprati tanti e la squadra è rimasta competitiva negli anni. Fossi al posto dei tifosi non mi preoccuperei per niente». Domanda replicata a Lucianone, sollevato in aria dalla squadra: «Napoli è proprio la città dei miracoli se è riuscita a far vincere lo scudetto a uno come me.
Il mio futuro? Ho trovato corretto che il club mi abbia avvertito del rinnovo esercitato, mai avuto problemi con il presidente. C'è tempo per vedersi e per accordarsi». Su una rinfrescatina del contratto. Partono i tappi di champagne, la festa continua. È un'altra notte da stare svegli.
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