Napoli, la seconda mamma. Culla della vita spericolata

Una città esaltata dai prodigi sul campo e "protettrice" dei vizi tra donne, figli e droga

Napoli, la seconda mamma. Culla della vita spericolata

Si è fermato il corazon di Napoli? O mama, mama, mama, sai perché mi batte il corazon? Ho visto Maradona. Napoli e Maradona erano stretti, racchiusi, sposati da una strofetta che apriva il sorriso. L'uomo che ha amato a modo suo, tradito a modo suo, esaltato squadra e tifosi, annichilito con i fuori onda di una vita dissipata e dissennata, non ha mai dimenticato l'amore per questa città. Mai tradita sul campo di gioco, spesso imbrogliata nel fuori campo. E qui non si parla solo di amanti e di un figlio per lungo tempo non riconosciuto. Conta anche il resto: tra tasse evase e dipendenza dalla droga, amicizie strane e follie non raccontate. Ma quello non toccava i compagni di squadra, che hanno avuto la fortuna di conoscere il lato migliore di Diego: sul campo giocava con loro. Non si dimetteva dal campione. Anzi li faceva vincere.

Ed, allora, Bruscolotti , il capitano palo e fierro che dopo il primo anno gli ha ceduto la fascia, Salvatore Bagni che faticò ad accettarlo salvo diventarne grande amico, e gli altri si dicevano: fai pure. Sentimento nato e costruito con città e squadra, appena messo piede in Italia. Settantamila al San Paolo e lui, piccolo e gigantesco, a mostrarsi in quello che sapeva fare: palleggio ed esibizione, una palla addomesticata come fosse parte del suo corpo. E un «Buonasera napoletani!» scandito dagli altoparlanti. Cominciò così. E quando fu primo scudetto toccò a lui dipanare la strofa che raccontava quel rapporto. Una canzone scritta per celebrare la storia, si intitolava: La favola più bella. Lui intonava così: «Sono venuto da lontano, qui è casa mia, già ti conoscevo Napoli, seconda mamma mia».

Non sarà piaciuta a tutti, ma al tirar del succo della storia Maradona non mentiva. Se Napoli e il Napoli avessero ragionato secondo i crismi del campione dello sport che tutti vorrebbero vedere, conoscere, apprezzare, non ci sarebbe stata chance di convivenza. Invece quel club guidato dall'astuzia di Corrado Ferlaino e, in seguito, accompagnato dal senso del realismo di Luciano Moggi, fece di Maradona un re nascondendo i suoi devastanti vizi. Raccontò Claudia Villafane, la moglie, che la tossicodipendenza del marito ebbe inizio proprio per festeggiare il passaggio dal Barcellona al Napoli: quella volta ci andò pesante. E non se ne liberò più. I compagni sapevano tutto, vedevano tutto, ma si sono cullati nella bella faccia del calciatore: Diego era generoso, non faceva passare un compleanno senza dimenticarsene, capace di togliersi un orologio dal polso per regalarlo a Bagni. Ma c'era qualcosa per tutti. «Ci aiutava a giocare meglio» ha raccontato proprio Bagni. «Ci dava la sicurezza del pensare di essere più forti. Era amabile, umile e divertente». Un campione per i compagni, cercava di aiutare chi aveva bisogno. Capitò un giorno che un giovane del Napoli, Pietro Puzone, avesse chiesto di giocare una amichevole, ad Acerra, per raccogliere fondi per il figlio malato di un tifoso. Ferlaino voleva evitare, Maradona si impose e garantì di tasca sua i 12 milioni della clausola assicurativa. Fu successo di pubblico e di incasso.

Maradona amava le sfide ed anche vincerle, dunque nessun dubbio che quando scommetteva con i compagni nel calciare la palla sull'incrocio dei pali oppure sul colpire la traversa dalla linea dell'area, ci prendesse sempre meglio di loro. Peccato che il fuori campo parlasse di vista spericolata. Difficile andar d'accordo con un integralista come Ottavio Bianchi, l'allenatore di allora. Difficile veder Maradona allenarsi sempre e tanto. Magari bisognava aspettarlo fino all'ultimo, come quella volta Mosca. Moggi lo imbarcò per la capitale sull'aereo solo il giorno della partita contro lo Spartak: bisognava attendere che Diego tornasse nel mondo reale fuori dalla droga. Maradona non rispettava orari e nemmeno appuntamenti: arrivò in ritardo perfino all'udienza con papa Wojtyla prevista per le 9,30 del mattino. Alle dieci era ancora a Napoli.

Il bello del campo di gioco attenuava il peggio della vita. La relazione con Cristiana Sinagra portò ad una battaglia legale. E solo nel 2016 Diego ha riconosciuto Diego Armando junior, che poi gli ha dato anche un nipotino. Quante volte Maradona tradì la moglie? Interrogativo senza risposta. Ma lui confermò di averlo fatto. Il rapporto con i giornalisti non sempre tranquillizzante: per allontanarli dalla zona di casa, una volta sparò con una carabina ad aria compressa. «Se non ve ne andate via prendo quella vera». Aveva locali prediletti per il dopo partita e per le feste con i compagni: tra Mergellina e i colli di Posillipo. Le strade percorse di notte con la Ferrari: sotto le stelle c'era il suo regno e spuntava il vizio. Si lasciava trascinare dalla gente, ma poi finiva di farsi fotografare nel brindisi con personaggi della camorra. Fu amore e odio durante i mondiali di Italia 90: Hijo de puta quasi urlato nel clamore di uno stadio. Eppure, per una volta, il 12 novembre 1988, El Pibe indossò anche la casacca azzurra della squadra italiana per un match della selezione di Lega, convocato da Arrigo Sacchi.

Non se la passò bene con il fisco italiano e per qualche anno evitò di rimettere piede a Napoli. Stanotte una veglia lo ha ricordato sotto il suo murales, il San Paolo fu la sua chiesa, pur per lui che non era un Santo. Inferno e Paradiso. E così sia.

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