Duecentoventidue milioni di euro. Sono un buon antidepressivo. A Barcellona attendono che la prescrizione venga firmata dall'ex tennista qatariota Nasser Ghanim Al-Khelaifi, proprietario del Paris St. Germain, oltre che di altre mille cose milionarie. Duecentoventidue milioni di euro per un calciatore, il brasiliano Neymar, venticinquenne artista della nazionale verdeoro e del Barcellona, ragazzo immagine, simbolo dell'ultima generazione dei futbolisti, là dove al talento vanno sempre affiancati il look, il taglio del capello, il tatuaggio, i gioielli al collo, al polso, gli orecchini, le donne e il lusso esibito.
Parigi val bene una messa, lo disse Enrico IV di Navarra che abiurò il calvinismo per il cattolicesimo sull'altare del trono di Francia. Parigi val bene tutta quella montagna di milioni e il sacrificio del popolo catalano. La cifra, già colossale, è soltanto una parte dell'eventuale pacco: tra tasse da versare e salario garantito al calciatore si supererebbero i 600 milioni. Dunque siamo alla follia, a un mercato demenziale, perché il mobile calciatore non è un immobile dal quale ricavare futuri introiti. È un investimento aleatorio, coperto dalle polizze assicurative (le gambe di Cristiano Ronaldo, ad esempio, sono tutelate per 150 milioni di euro) ma chi può prevedere l'uso effettivo, continuo di tale patrimonio? Chi può essere sicuro che l'arrivo a Parigi del fuoriclasse brasiliano possa garantire la conquista di un titolo, sia quello del campionato, della coppa nazionale o della Champions league? Neymar non è soltanto un calciatore, è un prodotto, è comunicazione, è miele per gli sponsor, attira pubblico, media, interesse, coinvolge il mondo brasiliano, sconvolge quello europeo. Ma non è un caso isolato e paradossale, perché in queste stesse ore, Alvaro Morata, passato appena un anno fa dalla Juventus al Real Madrid per 30 milioni, si trasferisce al Chelsea per 80, dopo aver trascorso una stagione da riserva con Zidane. E Mourinho ha imposto al Manchester United di versare 100 milioni all'Everton per Lukaku, così come fu di 94 milioni la clausola di Higuain la scorsa estate e di 100 quella di Belotti, oggi.
Temo, forse è qualcosa ancora più forte del timore, che il calcio stia ballando dentro una enorme bolla e questa possa esplodere, non soltanto in Cina ma dovunque abbia ormai superato la propria giusta, umana, dimensione. L'affare Neymar ha già provocato guai a due presidenti del Barcellona, Rosell e Bartomeu, accusati, insieme con il calciatore, di evasione fiscale e di truffa ai danni dell'erario. La storia non è finita e continua in un momento storico drammatico per il football spagnolo che ha portato in carcere il presidente federale Villar, suo figlio e i collaboratori della massima istituzione calcistica, sempre per una questione di denari sporchi. Le bolle di sapone divertono i bambini ma questa bolla non è un gioco, sta facendo perdere la testa a un mondo che pensa di vivere e invece sta sopravvivendo, con la spartizione dei diritti televisivi e l'aggressività sospetta degli investitori orientali e comunque stranieri.
Tra
cinque anni il Qatar ospiterà il mondiale di football, oggi il ministro dell'emiro Al-Thani, alza al cielo una coppa piena di soldi, sicuro di essere il più forte del mondo. Non è football. È follia. Lucida, violenta, volgare.
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