Nonostante abbia solo 23 anni, Remco Evenepoel sta vivendo una seconda vita. Sì, perché c'è un prima e un dopo incidente. In quel Giro di Lombardia corso a Ferragosto per via delle restrizioni Covid, Remco vide per davvero la morte in faccia. La sua giovane carriera rischiò di spezzarsi lungo la discesa che dalla Colma di Sormano portava al lago di Como. La sua bici rimase come appoggiata ad un muretto e lui precipitò in un burrone. In ospedale dove gli fu diagnosticata la frattura del bacino. Lento il suo recupero, lungo il periodo di inattività. In forse la sua carriera di prodigio del pedale.
C'è un prima e un dopo in questa storia fantastica. Un prima da ragazzino portato per lo sport cresciuto nell'Anderlecht e che ha trascorso tre stagioni in Olanda al PSV Eindhoven e ha vestito la maglia della Nazionale giovanile belga Under 15 e Under 16, di cui è stato anche capitano. Un piccolo fenomeno: se c'era da fare una gara, lui non si è mai tirato indietro ed era sempre tra i migliori. Senza preparazione a 16 anni ha corso la mezza maratona di Bruxelles in 1h 16' («volevo vedere i keniani da vicino» il suo commento, ndr).
Il primo dorsale ciclistico da junior il 2 aprile 2017. Quell'anno vince 7 corse, nel 2018 diventano 35 (su 45 a cui partecipa, ndr). Fino ai titoli continentali sia in linea (in fuga per 90 chilometri, arriva al traguardo con 9'45 di vantaggio, ndr) che a cronometro e quelli mondiali, in cui sbriciola la concorrenza dei suoi coetanei.
Questo è il prima, il dopo lo conosciamo. Ha soli 23 anni ed è campione del mondo in carica, dieci giorni fa ha vinto per la seconda volta consecutiva la Liegi-Bastogne-Liegi e dopo aver vinto a settembre il Giro di Spagna, partirà sabato da Fossacesia con il numero 1 sulla schiena e i favori del pronostico per un Giro d'Italia che gli sorride.
Lei un giorno disse: voglio vincere tutti e tre i Grandi Giri: conferma?
«Sono ambizioso e lo confermo».
Sa che avrà addosso gli occhi di tutti?
«È da quando corro che è così, ci sono abituato».
Dovrà fare i conti con Primoz Roglic.
«E non solo con lui. Ho già avuto la possibilità di misurarmi con Primoz e sono riuscito anche a batterlo».
Per rifinire la sua preparazione è tornato in Spagna, ma non nella sua casa in Costa Blanca, ma a Denia presso l'Hotel Syncrosfera, dell'ex corridore Kolobnev, dove si può simulare l'altitudine a diversi livelli (camere ipobariche, vietate solo in Italia, ndr).
«Quando esci da Syncrosfera, sei quasi al livello del mare. Nonostante la minore capacità di recupero, perché la notte si dorme in quota, ci si può allenare intensamente».
Torniamo al Giro: sabato si parte con una crono individuale, sulla ciclabile dei Trabocchi. È l'occasione giusta per vestirsi subito di rosa.
«Il percorso mi piace, in ogni caso per la prima rosa tutti dovremo fare i conti con Filippo Ganna».
Eddy Merckx nel 1968 è stato il primo belga a vincere il Giro d'Italia e dieci anni più tardi, nel 1978 Johan De Muynck è stato l'ultimo corridore belga a conquistare la corsa italiana.
«Sono passati 45 anni dalla vittoria di De Muynck, spero di riportare in Belgio una delle corse più importanti e belle al mondo».
Nel 2021 per la prima volta ha partecipato al Giro, ma fu costretto a ritirarsi alla 18° tappa. L'anno prima era caduto al Giro di Lombardia, fratturandosi il bacino.
«Quando hai un incidente come il mio, impari a vedere la vita in modo diverso. Sono stato criticato dopo il mio ritorno alle gare e tanta gente pensava che non sarei più tornato al mio livello migliore. Ho dimostrato a tutti che si sbagliavano e l'ho fatto vincendo».
Perché ha preferito la bici al pallone?
«Il mio amore per il ciclismo è da sempre più forte di quello per il calcio. Ho iniziato a tirare calci al pallone semplicemente perché quando ero piccolo i miei genitori non volevano che andassi in bici».
C'è una squadra per la quale va il suo tifo?
«Seguo soprattutto le grandi manifestazioni come la Champions. Tifo per l'Anderlecht e simpatizzo per l'Arsenal e il Milan».
Da piccolo guardava il ciclismo in tv?
«Certo, è sempre stato il mio sport preferito. Ho iniziato a correre tardi, ma l'ho sempre seguito. Le domeniche del Fiandre e della Roubaix erano un'occasione speciale».
Che rapporto ha con l'Italia?
«Da pro' la prima gara che ho disputato nel vostro Paese è stata la Adriatica Ionica Race e ho vinto una tappa.
I miei successi più importanti li ho preparati a Livigno. Da juniores, la prima corsa da voi è stata il Giro di Lunigiana... e ho vinto. Il pubblico mi ha trasmesso amore, energia, rispetto. Sì, correre in Italia è un piacere puro».
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