Sei anni sono tanti. Per uno slalomista sono tantissimi. Per chi ne ha 37 sono un'eternità. Ma possono anche essere nulla se in due minuti li cancelli e riparti da lì, dal podio nello slalom di Wengen. Giuliano Razzoli ci sale con le lacrime agli occhi. Lo hanno dovuto aspettare, perché lui ormai era convinto di aver chiuso la gara al quarto posto, gran risultato certo, ma «Quando sono arrivato in fondo alla seconda manche e mi sono visto per 29/100 dietro a Braathen un po' mi è spiaciuto, sapevo che aveva fatto una rimonta clamorosa (dal 29° posto, il norvegese classe 2000 vincerà la gara) e che avrei dovuto stargli davanti per puntare ai primi tre posti. Però sciare bene nella seconda partendo indietro era veramente difficile se non impossibile, e quindi mi sono detto: bene, dai, sarò nei cinque. Andando avanti solo Yule ha fatto meglio di me, gli altri o sbagliavano (come Vinatzer, purtroppo) o finivano dietro. Così, quando al via c'era ancora solo Kristoffersen ero ancora lì, terzo, e mi han detto preparati per il podio, in caso Ma io ho risposto no, col cavolo che mi preparo, aspettiamo. E mentre Henrik scendeva, sciando benissimo e nettamente primo come tempi, cominciavo a rassegnarmi. Quarto, peccato, ma va bene lo stesso, dai».
E invece. Ancora una volta è successo. Come in Val d'Isère a Vinatzer. Come a Campiglio a Noel. Ultime porte fatali a chi sta dominando la gara. Kristoffersen sbaglia, esce. Resterà per dieci lunghi minuti a testa bassa sulla linea del traguardo, mentre Braathen e Yule aspettano Giuliano. Che si rimette la tutina, indossa il pettorale e li raggiunge al centro del parterre, il cuore che batte a mille, le emozioni che esplodono quando lo speaker chiama il suo nome. Terzo. Il 17 gennaio 2016 era stato secondo, proprio dietro a Kristoffersen, guarda il caso. Giuli era felice quel giorno, perché era rientrato fra i primi sette al mondo. A Kitzbühel, una settimana dopo, era partito con l'1, il numero sognato da ogni slalomista, ma la sua gara era stata in realtà un incubo, durato poche porte. La caduta, il legamento crociato del ginocchio che si spezza.
Non è facile recuperare quando hai 32 anni. Per tre inverni Razzoli lotta, si ritrova anche a partire oltre il numero 60, fra gli ultimi, in mezzo ai ragazzini. Deve ripassare dalle gare Fis, dalla Coppa Europa. Riesce a imbroccare spesso la manche giusta quando ha l'acqua alla gola, la minaccia che quella manche potrebbe essere l'ultima, perché non c'è posto in squadra per un trentacinquenne che non fa più risultati. «Ci ho creduto, non ho mai mollato, e ora me lo merito, posso dirlo?».
Certo che puoi dirlo, devi urlarlo anzi, soprattutto a chi invece non ci credeva, a chi ti dava del bollito scansafatiche, a chi non vedeva nei tuoi piedi quel talento che solo pochissimi hanno. Non hai mai sciato così bene in vita tua Giuliano, nemmeno quando hai vinto l'oro olimpico dodici anni fa. Credici ancora, non è mai troppo tardi.
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