Nella selva oscura di Milan-Juve non c'è stato spicchio di gioventù d'azzurro vestita, ad illuminar la scena. Insomma chi aspettava di veder scintille nel duello tra Locatelli e Tonali, semmai ha visto qualche pestone e un sano, ma insano, tirar di lima. E nemmeno è valsa l'attesa vagando nel funambolismo di Leao e nello sfogliar di margherita di Dybala. Poi c'era il duello del brillante futuro dietro le spalle e tanti a chiedersi: sarà l'ultimo Milan-Juve di Ibra e Chiellini o quanti ancora ne vedremo? Forse il pallone qualcosa ha risposto.
Ibra ha perso subito la partita dei grandi vecchi. Se n'è andato dopo 28 minuti lasciando quella strana sensazione che potrebbe essere un addio. Almeno un addio al gladiatore che fu. Sarà un addio o solo un arrivederci? Strano effetto in questo San Siro con cinquemila persone, che ti fa sentire in una valle di disperati più che in una cattedrale della passione. Ma veder Ibrahimovic alzare il braccio, dopo una mezzoretta, da attore non protagonista, al massimo onorata spalla delle piroette di Leao e dei guizzi di Diaz. Ibra che si tira indietro dall'area per riproporre quell'idea di uomo assist o, meglio ancora, pivot calcistico che forse non è il suo pane ma l'essenza di un invecchiamento atletico. Eppoi mani in alto e sguardo infastidito nel dover alzare il braccio e dire basta. Anzi, per favore, sbrigatevi: meglio che esca. E il buon Giroud, che ha muscoli complessi e dal riscaldamento difficoltoso, costretto a sbrigarsi lui perché l'Ibra infastidito non ci stava più. Così sono i campioni, od anche ex, primedonne che non possono accettare il saluto dalle scene per un tendine infiammato. Suvvia, ormai il fisico chiama la ritirata che la testa non vuole accettare. Non è stata sufficiente l'adrenalina che Ibra ha ridefinito nel nome di «Chiellini». La chiellinite come la criptonite di Clark Kent.
Ed,allora, a consolar noi tutti, che amiamo l'indomito coraggio di vecchi campioni, è rimasto davvero Chiellini: pronto ad ogni guerra per non mollare nemmeno un centimetro su quel povero verde rinsecchito di San Siro. Chiello prende colpi e restituisce. Vecchia scuola, tanto onore. Vede le stelle quando Messias dimentica di avere davanti il più preoccupante alligatore delle aree avversarie: Chiellini si picchia, ma non lo pieghi. Voleva la sfida delle sfide con Ibrahimovic, l'uomo che ha amato, odiato e combattuto: dice lui. Questa era la tredicesima partita uno contro l'altro. Non certo un tredici portafortuna per lo svedese. Mentre all'inesauribile stopper sono rimasti solo i ricordi. Ma i suoi giovanili 37 anni gli hanno fatto da scudo contro ogni giovanil guizzo di gioventù non proprio fastidiosa e contro le voglie di Giroud, uno che ha vinto la Champions a lui negata. È stato un corpo a corpo d'autore fra il francese e l'italiano. Ma, secondo idea calcistica, è stato un Chiellini contro tutti. Milan-Juve chiedeva gol. Alla fine ha vinto l'antigol.
C'era un sapore d'antico in questa sfida: è rimasto il gusto deluso di aver visto il saluto di un vecchio combattente e la soddisfazione di un indomito che racconta di un elisir di eterna giovinezza, quasi a dirci che non è mai troppo presto per sentir avanzare la vecchiaia sportiva.
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