L'importanza di non dare niente per scontato, soprattutto il risultato. Quando è uscita la Roma a Barcellona hanno fatto festa. I Blaugrana si sentono invincibili: non perdono da nove partite in Champions, due i gol subiti; hanno annichilito la Liga, nove punti sull'Atletico di Madrid; sono in finale di Copa del Rey con il Siviglia di Montella che però, nell'ultima gara di campionato, li ha messi in difficoltà. In tutta la stagione 2017-2018 il Barça ha perso solo tre volte, di cui le prime due, con il Real Madrid in Supercoppa, ad agosto. Controindicazioni: da febbraio pareggiano molto. Forse perché hanno già in mano la Liga e si annoiano.
Il pericolo più grande per la Roma, prima ancora del carisma-talento di Leo Messi, dei morsi-gol di Luis Suarez e dell'impatto calcistico-mediatico del Barcellona, è la tentazione di auto-assolversi nel caso che il pronostico apparentemente chiuso per i giallorossi si manifestasse. L'altra tentazione è quella di accontentarsi, di pensare che essere riusciti a qualificarsi per i quarti della moderna Champions per la terza volta, a dieci anni dall'ultima occasione, possa essere già sufficientemente appagante. È vero, la Roma finora è stata superba. Ricordiamo che nel girone ha preceduto Chelsea e Atletico Madrid, sicuramente più titolate e abituate, specialmente l'Atletico con due finali negli ultimi quattro anni. Negli ottavi ha eliminato lo Shakhtar Donetsk che aveva fatto retrocedere in Europa League il Napoli. Potrebbe dire, anzi può dire di aver ampiamente onorato l'impegno.
Invece deve partire proprio di qua, da quanto ha costruito di buono. Non ha niente da perdere, anzi ha il diritto/dovere di provarci. Il Barcellona è una squadra fortissima ma ci sono 180 minuti senza vincitori preventivi e la Roma ha le armi per superare i fenomeni. Difesa attenta e concentrata, concedere poco e sfruttare le occasioni.
Un tempo era l'atteggiamento vincente delle nostre squadre quando giocavano in Europa. Non necessariamente catenaccio, ma una squadra corta e compatta. E soprattutto senza paura. Prima giocare, poi curare le (eventuali) ferite.
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