È cambiato il nome, Re Baldovino. Un portale all'ingresso della tribuna è l'unica memoria di quella notte di maggio. Il resto è stato ricostruito ma senza cancellare la vergogna. L'Heysel non esiste più come insegna dello stadio ma attorno, dentro, resistono, nell'aria belga, le voci strazianti, i fotogrammi di morte, la cronaca e la storia che niente e nessuno può e potrà evitare di ricordare.
La cosiddetta generazione Z non sa che quella stessa lettera dell'alfabeto corrispondeva alla curva dove si concluse l'esistenza di trentanove tifosi, trentadue italiani, quattro belgi, due francesi, un nordirlandese, difficile spiegare quello che accadde, impossibile individuare tutte le responsabilità, più facile segnalare le colpe, dell'ignava polizia belga e della vile ignoranza degli organizzatori dell'evento, dunque l'Uefa.
Il solo giornale inglese a raccontare la strage fu il Liverpool Echo con il titolo The Ecstasy and the Agony. Oggi si gioca, come si giocò allora. Stavolta un mazzo di fiori con i colori della nostra bandiera, momenti di commozione, parole di repertorio per onorare chi non c'è più, poi il fischio d'inizio della partita rispedirà tutto al passato, remoto.
Re Baldovino fu sovrano del Belgio e gli è stato dedicato lo stadio due anni dopo la sua morte, quella notte gli inquilini della tribuna del disonore voltarono le spalle e si dileguarono dinanzi al sangue del popolo che era partito per un sogno per poi scoprire la morte.
Non un minuto ma trentanove anni di silenzio al di là delle commemorazioni, amnesie di federazioni, leghe, club, pagine da rimuovere sul diario, quasi un fastidio del ricordo, l'Uefa stasera schiererà i soliti papaveri nella tribuna delle autorità, Ceferin e la sua squadra con la maschera da occasione, allora fu un francese, Jacques Georges, presidente,
a consegnare la coppa ad un suo compatriota, Michel Platini.Ci furono corse di gioia nel buio tragico. Immagine sporca che nessuna altra partita, gol, trionfo, su quel prato, in quello stadio, puliranno. Stasera. Sempre.
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