In ogni caso serve una rivoluzione: questa Nazionale è figlia del sistema

Club miopi e scollegati dal mondo azzurro. Un campionato da riformare. Scuole calcio inadatte. E non è colpa degli stranieri

In ogni caso serve una rivoluzione: questa Nazionale è figlia del sistema

Fine di una storia. Zero, zero gol, zero in tutto. Una disfatta, un fallimento. Nessun alibi. Sfortuna, errori, limiti. Non serve più a nulla rifugiarsi nella disperazione e nella vergogna. L'Italia fuori dal mondiale è una notizia colossale, non ha analogie, dopo sessant'anni restiamo a guardare gli altri. E lo facciamo per demeriti, non per altro. La commedia è conclusa come era incominciata, nell'ambiguità, nella scelta di un allenatore mediocre e di un gruppo che ha smarrito la dote che l'aveva accompagnata da sempre, lo stellone. Si chiudono le storie di grandi interpreti ma è il momento di fare Punto e a capo, è ora di cambiare. Quest'ultima lezione deve servire a cambiare la testa, non soltanto le teste del nostro calcio. L'Italia del football viaggia a due velocità: quella dei club e quella della federazione. Le società badano esclusivamente ai propri interessi commerciali, agli obiettivi di bilancio e ai risultati tecnici. Non tutte sono in regola, anzi, ricordando le parole dello stesso presidente federale, Tavecchio, sarebbero pochissime, si contano sulle dita di una mano, quelle autorizzate ad iscriversi ai campionati. Ecco il primo problema. L'omertà, la complicità, un sistema al quale manca la visione dello stesso, oltre al coraggio di denunciare e smascherare la furbata. Se un tecnico di categoria inferiore, come Pochesci, osa alzare il tono, è subito costretto a chiedere scusa e a pentirsi, essendo anche deferito agli organi di giustizia, piuttosto che essere convocato per capire le ragioni del suo sfogo e farne parte. La lesa maestà regna ancora in un mondo ingessato e gonfio di privilegi, una casta vera e propria.

La nazionale dovrebbe essere il prodotto finale di un lavoro che coinvolga tutto il mondo del football ma così non è, anzi è elemento scomodo per le strategie dei club, per l'egoismo dei tecnici e, al tempo stesso, vive una vita solitaria, separata dal resto delle altre rappresentative azzurre, mai in sincronia tecnica e tattica, di programmazione e di progetto. La federazione non va mai oltre il proprio condominio; avrebbe dovuto intuire e capire che la riforma dei campionati, prima di tutto, insieme con un disegno chiaro e organizzato sulle scuole calcio, sarebbe il primo passo di una grande riforma, da imporre e non da proporre o suggerire timidamente. La riforma deve partire dal governo, da ministri che, invece, esibiscono tronfi la propria carica ma non passano alla storia, mai, per interventi decisivi, strutturali, in sinergia con il ministero dell'istruzione. Lo sport nelle scuole è la base, è un fenomeno di cultura sociale, ne è la vitamina, il gioco del football non trova più spazio in nessun istituto, non si gioca negli oratori, non si gioca per strada, le scuole calcio sono siti, in alcuni casi opachi, disordinati tra loro, non c'è un disegno comune, la federazione non monitora, non vigila, non insegna, pur potendo contare su centinaia di docenti, ex calciatori e allenatori disoccupati, che potrebbero servire allo scopo e avendo a disposizione un centro tecnico, Coverciano, all'avanguardia. E, per evitare equivoci, non è un problema di invasione di stranieri. Nel duemila e sei avevamo la casa piena di foreign players ma arrivò il titolo mondiale.

Per attuare questo cambio di direzione serve una volontà politica e strategica, servono uomini forti, autorevoli, in grado di affrontare le questioni senza compromessi atti a raccogliere voti. L'immagine che offriamo all'estero è sconfortante. Passa attraverso le vicende di criminalità dei tifosi, le faziose sentenze della giustizia sportiva, i lamenti provinciali, nei tornei Uefa, di allenatori e dirigenti, una governance modesta, inadeguata, datata, polverosa. Non è facile individuare le figure capaci di prendere il comando, il potere ubriaca profili modesti, anche se l'esperienza offerta dal management di alcuni club dovrebbe servire come insegnamento. In caso contrario non cresceremo mai, continuando a vivere di speranze, di proteste e di telefonate ambigue. Credo, allora, che siano tutte, grandi illusioni.

Archiviata la nazionale e la sua disfatta, torna immediatamente in scena l'Italia dei campanili, il derby di Roma, le altre sfide di serie A, il Var, i dibattiti sul quattrotretre.

In questo siamo campioni del mondo. Unici, imbattibili.

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