E poi succede che una semplice foto faccia sorridere e accenda domande, quelle di chi crede di poter essere consultato dal destino. Non serve uno scatto alla Berengo Gardin, ma solo l'immagine di un ragazzino di 20 anni che impacciato cerca di lavare un bimbo di pochi mesi. Il primo si chiama Lionel Messi e ha segnato la storia del pallone, l'altro si chiama Lamine Yamal e promette di farlo per le due prossime decadi. Scontato vederci un passaggio di testimone, in quell'istantanea di cui tanto si parla da giorni. Nella seconda metà degli anni Dieci, il Barcellona decide di sporcare la propria camiseta blaugrana, sin lì intonsa da scritte e fedele al credo del mes que un club, con una sponsorizzazione al contrario - quella con l'Unicef che promosse lo shooting per cui Yamal fu poi sorteggiato - con 1 milione e mezzo di versamento l'anno all'organizzazione umanitaria.
Quel battesimo al football ha fatto diventare Leo il padre calcistico di Lamine, senza che il passaggio generazionale si sia però compiuto: questo perché nella notte italiana di lunedì Leo giocherà l'atto conclusivo di Copa America con la sua Argentina, per la quale ha segnato in semifinale contro il Canada e con la quale è divenuto recordman di finali in maglia della Nazionale. Yamal, in quelle stesse ore, è invece divenuto con il gol alla Francia il più giovane di sempre a segnare in una semifinale, Europeo o Mondiale che sia. Improponibili ricci meshati e apparecchio ai denti, Lamine la simpatia se l'era presa già a inizio Europeo con l'obbligo di rincasare entro le 23, da adolescente qual è e per sottostare alle regole teutoniche in tema di lavoro. Domenica Yamal si gioca la finale il giorno dopo aver compiuto 17 anni, lui che a Matarò guarda indifferente vagoni di coetanei italiani sobbalzare sui treni verso Lloret de Mar, la Rimini catalana. Lamine non si distrae e ha la fame per emergere.
Brera diceva di Berruti: «Se un popolo vecchio e povero come il nostro riesce ad esprimere atleti come lui, sicuramente ha buon sangue». Lamine, sangue di papà marocchino, a Barcellona ha trovato terreno adatto perché non inaridisse il seme del suo talento. E che, semmai, sbocciasse anche più di quanto farebbe sperare la discendenza guineiana che mamma gli ha dato. Di quel Paese, per intendersi, il metro di misura è il centrocampista José Machin, mai titolare al Monza. Più che il destino, insomma, la foto di Messi e Yamal è uno spot per il Barcellona e la sua capacità di innaffiare talento. Lo stesso era successo con il Messi bambino con deficit ormonale, accolto e fatto crescere nella cantera catalana.
Sarà l'aria o l'acqua, ma se a Napoli il caffè è più buono, il merito non è del barista. Soldati scriveva che «l'aria del Po produce cultura». «Io non ho fantasia, ho immaginazione», gli avrebbe fatto eco Gaudì. La foto di Yamal dimostra che in Catalogna avevano saputo inventare il futuro.
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