Un Campione del Mondo dimenticato. Anzi emarginato da quello che per 40 anni è stato il suo mondo. Cacciato per non essere sceso a compromessi. È l'amara storia di Claudio Gentile, uno degli eroi del Mundial di Spagna '82. L'uomo che annullò Diego Armando Maradona e Zico. Dal 2006 è sparito dai radar calcistici, nonostante da ct dell'Under 21 avesse vinto l'Europeo e conquistato lo storico bronzo olimpico ad Atene. Chi meglio dell'ex difensore della Juve (6 scudetti vinti) per guardare con disincanto al mondo del pallone: «Sono critico con il sistema, non mi meravigliano le attuali guerre interne di potere e interessi. I problemi del calcio partono dall'aver tolto dalla scena il talento. Da anni infatti non vanno avanti i più bravi, ma i raccomandati...».
In che senso?
«Parte tutto dai settori giovanili. Oggi un ragazzo, con il papà che c'ha i soldi, fa fuori la concorrenza e ha più possibilità di fare carriera. Molti genitori pagano i club per portare avanti le carriere dei propri figli, che così passano davanti a un coetaneo con più qualità».
A discapito del talento.
«Ai miei tempi se eri bravo andavi avanti, adesso invece comandano altre dinamiche. Ho visto molti ragazzi di talento nelle giovanili, potenziali campioni, mollare perché sorpassati da raccomandati. Quei ragazzi hanno detto: Non gioco anche se sono il più forte, allora cosa sto a fare qui e hanno mandato tutti a fanc.... E così i talenti si disperdono».
C'è troppa tattica a livello giovanile?
«Proprio così. Nelle scuole calcio molti allenatori invece di far crescere i ragazzini, insegnando loro a marcare, li imbottiscono di nozioni tattiche. A 11-13 anni dovrebbero pensare a divertirsi».
Come faceva lei?
«Noi giocavamo per passione. Si imparava all'oratorio dove facevamo partite per 6-7 ore. Miglioravamo così, giocando. C'era amore verso il calcio, mentre adesso sono i genitori che spesso spingono i figli, sperando siano i nuovi Ronaldo per fare un mucchio di soldi».
Lei è stato incoraggiato a giocare?
«Mai. I miei genitori da questo punto di vista non mi hanno aiutato, dovevo arrangiarmi da solo. Abitavo a Brunate e andavo tutti i giorni fino a Como a piedi. Era la passione che mi spingeva, non come adesso che vanno al campo tutti griffati con scarpe da 250 euro».
La vostra fame l'hanno ereditata i giovani stranieri.
«I nostri giovani aspettano che l'occasione gli cada addosso, mentre chi viene dall'estero ha la voglia di emergere che avevamo noi. Vivono il calcio come un riscatto sociale e prendono spazio nelle nostre giovanili».
E le nazionali soffrono.
«La materia prima non è granché. Sono tanti anni che non vinciamo nulla. E pensare che negli anni Novanta e inizio Duemila le nostre Under 21 dominavano...».
L'ultimo trofeo porta la sua firma.
«Nel 2004 vincemmo l'Europeo e conquistammo il bronzo ad Atene, ma non voglio farne una questione personale. Dico solo che dopo di me c'è stata una svolta negativa, perché si è smesso di chiamare solo i più meritevoli e hanno iniziato a trovare spazio anche i raccomandati da quel dirigente o quel procuratore».
Quando la rivedremo in panchina?
«Io ormai sono tagliato fuori. Dicendo la verità, mi hanno messo da parte. Solo dall'estero c'è stata qualche chiamata. In Italia niente, ma va bene così. Piuttosto che fare il burattino, sto a casa. Vent'anni fa Mazzone disse che in panchina ci sono 2 tipi di tecnici: gli allenatori e gli accompagnatori. Io sono un allenatore e non mi faccio imporre le scelte da nessuno. Il calcio italiano è gattopardesco: cambiano presidenti e dirigenti, ma rimane tutto uguale. Ogni anno vedo personaggi che hanno fallito ovunque, ma puntualmente trovano sempre squadra. Io dopo un Europeo vinto e il bronzo di Atene sono stato cacciato via».
Si è pentito di aver sfidato il sistema?
«In Italia se non abbassi la testa e fai quello che ti dicono, non ti fanno lavorare. Io però, in campo e nella vita, non sono mai stato un burattino e mai lo sarò».
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