Il cortocircuito dei fischi dei settantamila di San Siro. Quelli sbagliati sono rumorosi e vanno in scena quando suona la marsigliese, quelli giusti sono solo accennati ai primi cambi dopo un'ora. Guai a maltrattare i cugini francesi. Rabiot insegna. Se n'è andato dalla Juventus, nessuno gli ha fatto una proposta che convincesse la pretenziosa mamma procuratrice a farlo rimanere in Serie A. Una doppietta insieme alla prodezza balistica di Digne, altro ex del nostro campionato per togliere il primato del girone alla Nazionale di Spalletti. Tre volte punita da fermo, tre palle inattive suonano la sveglia dopo tre mesi che avevano riconciliato gli azzurri con il Paese. Perché l'Italia per un'estate intera era rimasta all'aperitivo di Berlino, che la Svizzera aveva mandato di traverso castigando una prestazione orribile. C'era una sensazione di scoramento, di smarrimento più che di rabbia. Senso di impotenza. Fuori da un torneo in un modo che ha fatto pensare a lungo che fosse stato meglio non presentarsi. Donnarumma era l'unico che ci aveva messo la faccia, ieri il capitano ha marcato visita per un mal di pancia che qualche malizioso aveva insinuato provvidenziale per evitare i soliti fischi rossoneri. Purtroppo i settantamila di San Siro li hanno usati, i fischi, per l'inno francese. Uno spettacolo da dimenticare nonostante gli applausi convinti di tutta la comitiva azzurra. Messaggio non recepito dallo stadio con tanti bambini sugli spalti. Occasione persa di educazione, per uno step culturale sportivamente parlando non più rinviabile. Che dovrebbe andare di pari passo con il rinascimento azzurro. Che ha subito una battuta d'arresto a Milano.
La via del gioco di Spalletti ha sbattuto sulla fisicità francese messa in campo da Deschamps: la mediana da derby romano Konè-Guendouzi, gli strappi di Thuram, hanno riportato dall'altra parte delle Alpi i fischi. E l'Italia torna indietro di cinque mesi per una notte. Anche se meglio adesso che nelle qualificazioni mondiali da non fallire assolutamente.
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