Quando il corridoio che conduce alla coppa dalla grandi orecchie si fa più angusto, significa che quasi sicuramente i titani se ne stanno spalla contro spalla. Il ragionamento si crepa soltanto per l’insolente Villarreal di Unai Emery, necessario tributo all’imprevedibilità pallonara, ma se scruti le altre contendenti i nomi sono tutti altisonanti: Liverpool, Manchester City, Real Madrid.
Telecamera che si stringe su queste ultime due, perché è qui che abita il conflitto tra superpotenze. Pep contro Carletto, i petroldollari e il gigante delle autostrade spagnole, Kevin De Bruyne oppure Karim Benzema: la battaglia si preannuncia galattica, da qualsiasi angolatura la interpreti. Mettete via i gesti apotropaici e rifiutate l’idea che vi lambisce, anche solo per un attimo, di indovinare il favorito. Certe partite assomigliano a quelle storie che rifulgono di vita propria e devi aspettare di contemplarne pieghe e punti di rottura, per intuire la direzione finale.
Guardiola ci arriva dopo aver bucato il muro di granito issato dal Cholismo nella sua versione più esasperata. Fendere il 5-5-0 dell’altra metà del cielo madridista, quella che pulsa biancorosso ed è intrisa di dogmi che assurgono a fede laica, non era una passeggiata. Joseph - eccelso risultatista quando si tratta di spingersi fino alle semifinali - ora deve chiedere un sussulto ai suoi. Specie perché il City, che in campionato la spunta a targhe alterne contro il Liverpool, in Champions è ancora all’asciutto. La sconfitta di un anno fa contro il Chelsea è una di quelle ferite che buttano ancora. Certo, il calcio totale e corale dei mancuniani è animato da interpreti prodigiosi: Ederson che para e imposta, Cancelo che è divenuto il fratello abile di quello visto in Italia, De Bruyne che rifinisce e finalizza, Bernardo Silva a strappare e stappare le partite. Quanto sono sfumati i tempi di Maine Road, dei fratelli Gallagher che rifiutano di sostenere la squadra più tifata d’Inghilterra - il Man Utd - per supportare un manipolo mediocre e impalpabile. Oggi il City è un rullo apparentemente inscalfibile, ma deve evitare di inciampare sul traguardo.
Dall’altra parte della barricata siede Carletto, l’uomo che ha fatto dell’aplomb il biglietto da visita di una vita intera. A Madrid lo idolatrano e pazienza se di quando in quando buca la formazione (come per lo sporadico sfacelo contro il Barcellona). La sua attitudine in questa coppa è la stessa delle Merengues: la Champions è un’amante che offre la confidenza più totale. Più facile, certo, se là davanti hai Karim Benzema. Il centravanti francese - facilitato dai colpi circensi di Luka Modric - è diventato un formidabile correttore di destini avversi. Così quando il sopracciglio di Carlo si inarca eccessivamente, come nel ritorno contro il Chelsea, lui riporta tutti sulla terra: 12 centri fino a qui e nessuna voglia di fermarsi. Al resto ci pensa Ancelotti, capace di infondere serenità nelle scanalature più fetide della partita. “Solo io pensavo che sullo 0-3 saremmo passati?”, ha chiesto in conferenza stampa ai giornalisti, subito dopo l’ultimo confronto. Certo, i galacticos sembrano assai meno spaziali rispetto ai tempi di CR7, ma l’ossatura del centrocampo - il luogo dove si vincono le partite - resta quella, in porta c’è una piovra e in attacco un cecchino. La difesa a volte fabbrica amenità, ma se il Real fosse perfetto chi si divertirebbe più?
La calma irrorata di qualità di Carletto contro il palleggio sfinente e la riconquista frenetica di Pep: appuntamento il 26 aprile a Manchester. Se alzate il naso all’insù potreste indovinare le scintille.
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