La tribuna del disonore e il 2030 in Arabia

Deve essere davvero piacevole accomodarsi, al centro della tribuna d'onore di uno stadio di calcio, a fianco di un mandante di omicidi

La tribuna del disonore e il 2030 in Arabia

Deve essere davvero piacevole accomodarsi, al centro della tribuna d'onore di uno stadio di calcio, a fianco di un mandante di omicidi. La diretta televisiva del primo giorno mondiale ha mostrato l'immagine di JFI, al secolo Gianni Infantino, seduto su poltrona presidenziale e alla sua sinistra Mohammed Bin Salman, primo ministro saudita. Negli ultimi dieci giorni, nel Paese del principe ereditario sono stati giustiziati 12 persone, 3 pakistani, 4 siriani, 3 giordani e 3 sauditi, accusati di uso e spaccio di droga. L'esecuzione è avvenuta con il taglio della testa. L'anno sta per concludersi con 132 condannati a morte, probabilmente sono numeri che non interessano minimamente la Fifa e il suo capo che però ha detto di sentirsi arabo e si dovrebbe presumere colluso o complice di tali violenze. Lo scenario di Doha e dintorni si offre quotidianamente a casi umani messi da parte nel nome del denaro al punto che qualcuno ipotizza che la presenza di Bin Salman si debba al progetto di ospitare l'edizione del mondiale 2030 proprio in Arabia Saudita, non trascurando l'ipotesi che negli anni successivi sino Bahrein e Iraq ad offrirsi per il torneo universale.

Del resto lo sport va dove lo porta il versamento bancario, è inutile essere ipocriti, anche le nostre squadre giocano la supercoppa d'Italia da quelle parti, proprio infischiandosene di diritti violati e di teste mozzate. Sta di fatto che l'immagine della tribuna di Doha è la conferma che il grande rimprovero del presidente della Fifa al mondo intero è già stato sepolto sotto la sabbia del deserto.

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