Il senso di Smilla per la neve. E il suo sequel sportivo-letterario, Il senso di Gimbo per il volo. Che brivido vedere Gianmarco Tamberi sfogliare l'asticella d'oro. Come l'emozione di spaginare il romanzo di Peter Høeg: l'estro fantastico dello scrittore danese che ha raggiunto il successo col suo giallo «postcoloniale»; e la meraviglia del balzo dell'atleta italiano che ha graffiato il cielo col suo salto «postmondiale». Gimbo, da ieri, non è solo il top dell'atletica azzurra, ma anche il nuovo meme della genialità italica. La mamma, Sabrina, insegnante di educazione fisica, se lo coccola. A volte le scappa «il mio bimbo» che però, a 31 anni, ha fatto un discreto sviluppo...: «Un figlio così sarebbe indispensabile a qualsiasi mamma: dolce, grintoso, tenace, altruista, sempre disposto ad aiutare le persone meno fortunate. Adorabile». Eppure ci fu un tempo in cui il baby Tamberi era trattato da Giamburrasca (o sarebbe meglio dire «Gimborrasca»): «Soprattutto a scuola, dove non stava un minuto fermo. Amatissimo dai compagni, ma incompreso dai prof che gli mettevano le note disciplinari: L'alunno Tamberi si recava in bagno con i capelli lunghi e tornava in classe con la testa rapata a zero...; Lo studente Tamberi usciva da scuola vestito da vigile per andare a dirigere il traffico...; L'alunno Tamberi portava in aula un carrello del supermarket e lo usava come autoscontro con dentro il suo compagno di banco».
Mamma Sabrina ha portato tempo fa la sua testimonianza sui social nell'ambito di dibattiti «motivazionali» dedicati ai giovani: «Gimbo era un bambino iperattivo. Non riuscivo a tenerlo, non aveva una regola, lui doveva fare come voleva. E doveva ottenere, ottenere, ottenere... Si opponeva a qualsiasi cosa». Alla fine la soluzione non è venuta dallo psicologo, ma dallo sport: «Non conoscendo quello che è l'aspetto trasversale dell'iperattività - spiega la madre -, abbiamo pensato che facendogli fare lo sport, si potesse sfogare, incanalando così le sue energie in un modo corretto e metodico. Ed ecco che piano piano è riuscito ad acquisire più sicurezza di sé». Oggi i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Magico Gianmarco, multitasking come un Leonardo da Vinci in pantaloncini celesti ma senza barba (anzi, con mezza barba) e dall'estrosità esplosiva, retaggio di quella «adolescenza iperattiva», quando Gimbo faceva rima con «limbo»: età di mezzo in cui non sei né carne né pesce, ma solo una scarica ormonale in cerca di ascolto. Ma poi gli anni del «limbo» trascorrono, e ti ritrovi nel purgatorio della giovinezza dove quel ragazzino che «non stava mai fermo» evolve gradualmente nel campione che comincia a fare incetta di medaglie. Fino a raggiunge il paradiso della maturità. È la fiaba di Gimbo. Col padre come allenatore. Tra alti e bassi. E la madre in mezzo, a cercare di ricomporre la misura ideale: «Ma la proporzione di due egocentrismi non è sempre perfetta. Tra loro l'anno scorso una separazione sofferta ma inevitabile.
Sono felice però che Gimbo abbia dedicato la vittoria anche al papà. Non si parlano da un po'. Ma ora quale occasione migliore per ritrovarsi?». Senza rinunciare agli effetti speciali. E a farsi beffe dei prof. Come a scuola. «Gimborrasca» è tornato. Anzi, non è mai andato via.
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