Un po' come il marchese del grillo: io so'io e voi non siete un c..zo. È l'idea che Conte Antonio, allenatore dell'Inter, ha di tutti gli altri, sodali e non. Il suo calcio è unico, esclusivo, il migliore in assoluto. Se si guarda allo specchio e intravvede qualche ruga ritiene che lo specchio sia sporco. Finge umiltà e professa arroganza, ha la cultura profonda del lavoro ma non la stessa per migliorare il proprio carattere, il cui ego raggiunge vertici che nemmeno Mourinho o Sacchi hanno mai toccato.
Ha vinto e bene, con la Juventus e il Chelsea, ha ricostruito una identità della nazionale con calciatori di margine, i suoi attaccanti erano Pellé e Zaza (!?). Piange miseria anche quando i nuovi ristoranti da lui frequentati gli servono caviale e ostriche. Ha la faccia tosta di considerare il gruppo interista preconfezionato, la dove il solo reparto preconfezionato è il suo staff di dodici persone. Ha grandi meriti di imprinting sulla squadra ma, rispetto a dieci anni fa, quando prese in mano la Juventus, non ha cambiato una virgola i metodi di lavoro e di realizzazione tattica sul campo. I rapporti personali sono spigolosi, ha appena modificato certi gesti da coribante ma è rimasto ancora calciatore, dunque eccita il pubblico amico, un po' meno gli avversari che si sentono molestati, l'ultimo è stato l'allenatore veronese, non certo il prototipo del gentleman ma messo a tacere con toni triviali. L'Inter è scivolata al quarto posto spallettiano dopo aver investito moltissimo in un professionista che, con la solita presunzione, ha pensato di cancellare il passato, incominciando dall'inno, pensando di portare la rivoluzione in un club che ha una storia solida, fortissima.
Se al vertice dell'Inter ci fosse ancora Massimo Moratti il futuro del salentino sarebbe già segnato, come accadde con un altro reduce juventino, Marcello Lippi. La fortuna di Conte Antonio è quella di poter giocare da solo, di criticare le scelte societarie, di squalificare alcuni acquisti, di demotivare alcuni calciatori, di non valorizzarne altri. Ho detto fortuna apposta, perché altrimenti avrebbe già fatto le valigie, gonfie di denari, come abitudine. Un fallimento? No, sarebbe in malafede attribuire esclusivamente all'allenatore responsabilità che vanno distribuite all'interno del gruppo, della società il cui presidente è giovane, benestante ma che ha poco a che fare con la storia, il mondo, la tradizione, nel senso puro, dell'Inter.
Conte ha riempito questo vuoto con la personalità, il sussiego che sono i suoi dati caratteristici, una propaganda che, però, abbisogna di fatti, di risultati: eliminato in Champions league, due vittorie, tre sconfitte, un pareggio, eliminato in coppa Italia, quarto in campionato, non ci sono alibi, l'Inter ha deluso ma chi non ha risposto alle attese e all'investimento faraonico è proprio l'allenatore che potrebbe anche concludere in anticipo il suo rapporto pluriennale con il club.
Anche perché, come il presidente cinese, nonostante l'outing ripetuto, Conte non ha dentro nulla di interista, così come non può pensare o sognare di tornare alla Juventus, dopo avere offeso o deriso la dirigenza e il patrimonio messo a disposizione, Pirlo Andrea per primo. Pensi all'Inter e ringrazi Marotta che ha creduto in lui.
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