Meloni farà da pontiere. E gioca la carta Difesa: spese militari oltre il 2% ma flessibilità sui conti

La premier chiederà unità ma insieme agli Usa e più soldi in armi con nuovi accordi sui bilanci

Meloni farà da pontiere. E gioca la carta Difesa: spese militari oltre il 2% ma flessibilità sui conti
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È un vertice delicato e in qualche modo doloroso quello che Giorgia Meloni si appresta ad affrontare oggi a Londra. Il «Leaders Summit on Ukraine» guidato dal Regno Unito di Keir Starmer e allargato alla Turchia riguarderà i progetti di difesa comune e la sicurezza ucraina.

Un appuntamento che arriva dopo il litigio in diretta televisiva tra Donald Trump, J.D. Vance e Volodimir Zelenski. Uno scontro che certo non aiuta la premier italiana che ha stabilito un solido rapporto con il presidente ucraino e sta cercando di creare un rapporto preferenziale con l'inquilino della Casa Bianca, cercando di decrittarne provocazioni e reali intenzioni.

Giorgia Meloni vorrebbe provare a far sedere Stati Uniti, Europa e (se possibile) anche i Paesi tradizionalmente alleati che non fanno parte del Vecchio Continente (come Gran Bretagna, Canada e forse Giappone) a uno stesso tavolo. Quindi l'invito che lancerà sarà quello di agire uniti. Basta fughe in avanti e incontri con il presidente statunitense senza essersi preventivamente consultati con gli alleati. Un auspicio-invito che sembra rivolto soprattutto al presidente francese Emmanuel Macron.

Meloni ha in mente anche un nuovo piano finanziario con cui avviare la costruzione di una vera difesa europea, più che mai necessaria in tempi di solitudine transatlantica. Una proposta concreta che sottoporrà agli alleati prevederebbe un 1% aggiuntivo di Pil destinato in spese militari. Quindi circa 20 miliardi, scorporati dal deficit (anche se andrebbero comunque a pesare sul debito). Per l'Italia significherebbe superare la fatidica soglia del 2% con un impatto più limitato sui conti pubblici e sui parametri di Maastricht L'altra possibilità sono gli Eurobond per la difesa europea, che verrebbero indirizzati - qualora si riuscisse a far arrivare in porto il progetto - su acquisto di materiale europeo (attualmente circa il 50% dell'investimento europeo finisce nelle casse degli Stati Uniti). Centrale però è capire cosa vuole fare l'Europa e l'Occidente e se esiste la reale volontà di mettere in discussione regole e assetti consolidati. Nel governo si registrano alcuni segnali importanti. Se il ministro degli Esteri, Antonio Tajani auspica il raggiungimento del 2% del Pil in spesa per armi, purché l'Ue consenta di considerare quegli investimenti fuori dal Patto di stabilità, il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti rivendica di aver avviato da tempo un discorso di sistema sulle esigenze della difesa.

«Quando discutiamo di un aumento delle spese per la difesa, io ho sicuramente un contraccolpo sul mio bilancio, ma vorrei avere anche un'evidenza di quello che può derivarne in termini di crescita economica. Si parla moltissimo della riconversione dell'automotive al sistema di difesa, non si può ignorare che gli investimenti per difesa hanno anche una ricaduta in termini di crescita economica». Quanto all'Europa il numero uno del Mef rivendica che «la posizione italiana, che tanti di voi avete criticato, incredibilmente a distanza di un anno trova conforto nella realtà, perché sulla spesa per la difesa avevamo detto che le regole devono essere flessibili in relazione all'evoluzione del contesto macroeconomico e la realtà in qualche modo sopravanza la filosofia contabile».

Sempre Tajani, infine, parlando con Affaritaliani, alla vigilia del vertice chiede «l'unità fra europei». E aggiunge che «è impensabile una trattativa per la fine della guerra senza Ucraina e senza Ue. Tutti dobbiamo lavorare per una pace giusta che, però, non può consistere nella sconfitta di Kiev».

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