Gas, lacrimogeni, migliaia di persone in piazza e una sola, fra le molte in carcere negli ultimi mesi, giunta al settantunesimo giorno di sciopero della fame: Abdulhadi Al Khawaja, lattivista per i diritti umani condannato a vita dopo le rivolte del 2011. E poi: scritte sui muri contro la F1 che domenica corre il Gp e che stamane accenderà i motori per le libere; e poi: fotoreporter Ap e Francepress senza visto benché accreditati dalla Fia, il governo dellauto; e poi: quelli col visto costretti a vedersi applicare su macchine fotografiche e cineprese una targhetta di riconoscimento di colore ben visibile per essere individuati in mezzo alla folla in caso seguissero le manifestazioni; e poi: lassociazione Reporter senza frontiere che mette in guardia, che dice «il Bahrain è uno dei Paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti e il suo re un nemico della libertà di stampa».
Tutto questo è accaduto ieri, perché laltro ieri, per la precisione di sera, durante uno scontro fra manifestanti e polizia lungo la strada che collega il circuito alla città, è anche e soprattutto accaduto che scoppiasse una molotov vicino allauto dei meccanici di un team, la Force India. Risultato: grande paura, grande spavento e un dipendente della squadra che ha chiesto «posso tornarmene a casa», si puoi, e ha preso ed è partito. I Giorni della rabbia, così gli attivisti hanno chiamato le manifestazioni in programma durante il week end del Gp, dunque proseguono. Come era prevedibile. Troppo ricca, succulenta, troppo attraente la platea mondiale offerta dalla F1 per lasciarsela sfuggire. A costo di rischiare la pelle, lospedale e la galera. Ieri, il presidente del circuito, Zayed R. Alzayani, ha cercato di rassicurare ma non gli è venuta bene. Ha detto: «Quello della molotov è un incidente isolato e anche mia moglie vi è rimasta coinvolta».
In questo prevedibile ginepraio in cui la F1 si è volontariamente e testardamente tuffata, spiccano per omertà da commento i signori piloti che al «non vedo e sento» hanno sostituito «sono qui per parlare di sport». Per esempio Vettel: «Nel paddock è tranquillo, fuori forse no. Però è rischioso ovunque, penso a quando andiamo in Brasile (e Barrichello da San Paolo si è incacchiato, ndr)». E Button: «Non voglio entrare nella questione, siete qui per intervistarmi come pilota». E Alonso: «Siamo qui per via della decisione presa da chi ha tutte le informazioni, la Fia. Per cui se siamo qui è perché tutti pensano (la Fia, ndr) che siamo al sicuro». E Massa: «Sono qui per lo sport».
Ma si diceva: oggi motori accesi. Faranno rumore. Non abbastanza rumore.
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