A Corigliano Calabro la vita scorre lenta e priva di sussulti. Mamma e papà fanno i falegnami e stentano ad appiccicare il pranzo con la cena. Mezza famiglia, invece, è emigrata verso i punti più reconditi del vecchio continente in cerca di un raggio di buona sorte. No, non si tratta della classica favoletta confezionata su misura. In questa storia i riferimenti a fatti e persone sono puramente cercati.
Gennaro Gattuso viene da questa famiglia qua. Da un contesto di gente che, straniera per carta di identità, lingua e inclinazioni di vita, ha tambureggiato alla porta di culture divergenti lavorando sodo, integrandosi, compenetrandosi.
Dante certo non poteva saperlo, ma l’inferno oggi si è aggiornato e contempla numerosi gironi aggiuntivi. Uno di questi, il sommo poeta lo riserverebbe senza fare prigionieri ad una categoria che riesce a risultare ancor più antipatica di quelli che provano a superarti con il carrello mentre ti incanali alla cassa del supermercato. Tre parole sono sufficienti ad inquadrarli (in fondo Valeria Rossi ci costruì un successo estivo): odiatori di professione. Del resto Umberto Eco aveva vaticinato correttamente pronunciando l’arcinota sentenza: “Il web? Darà diritto di parola a legioni di imbecilli”. Dai peggiori bar del circondario (sì, rischia di essere un pregiudizio, si passi come licenza poetica) ai social il tragitto è un lampo. Basta inforcare un telefono o agganciarsi ad una tastiera: l’opinione personale - sovente irrorata da convinzioni tribali - è lanciata. La mattanza servita.
Eppure questo popolo seriale, che intinge la punta del vuoto pneumatico delle proprie giornate nel sapore urticante dell’offesa gratuita e della risposta compulsiva a grovigli di perfetti sconosciuti, possiede una virtù. Quella di riunire sotto lo stesso tetto, le braccia conserte e l’espressione corrugata, coloro che non si fermano a leggere un titolo, una dichiarazione strappata dal contesto, il commento del commento. Perché è sulla base di questi inscalfibili presupposti che il tribunale social, auto nominatosi, distribuisce con solerzia sentenze mortifere. L’approfondimento? Un optional trascurabile. L’analisi delle fonti? Un giochino troppo complesso.
Così succede che Gennaro Ivan Gattuso, per tutti “ringhio” diventi la perfetta bestia sacrificale. “Omofobo”, “sessista”, “razzista” e giù ciarlando. Nel lato nord di Londra, sponda Tottenham, il dubbio si insinua svelto, corroborato dalla ferale violenza che viene giù più facile quando sputi da migliaia di km di distanza. Gattuso perde una chance lavorativa per questo. Ora, appena nominato al Valencia, ecco che riprendono ad infilzarlo.
Ma esaminiamo i fatti per non essere vittima, come gli avvelenati di cui sopra, di quegli stessi pregiudizi che invece si vorrebbero estirpare.
Di Gennaro si dice che sarebbe razzista, ma la sua storia familiare racconta il contrario. Certo, lui potrebbe essere la classica ciambella senza il buco al centro, ma allora perché tutti i suoi ex compagni di colore oggi lo difendono? Del resto, se fosse vero, chiunque ci metterebbe un secondo a cavalcare l’onda. Invece zero, nessuno. Nel suo ristorante, tanto per dire, lavorano egualmente dipendenti di differenti etnie. Singolare, per uno che ce l’avrebbe con chi ha un colore della pelle differente.
Ai tempi del Milan gli si chiese cosa ne pensasse della gestione di Barbara Berlusconi e lui, è vero, rispose: “Le donne nel calcio non le vedo bene, mi dispiace ma la penso così”. Ecco, se c’è un difetto che a Ringhio va sicuramente imputato, è quello di non essere esattamente un asso della comunicazione. Il suo pensiero all’epoca era più articolato e conteneva un sottotesto: c’è troppa differenza con gli uomini, il sistema va ripensato. Ma, naturalmente prendere il verso sbagliato della frase - complice anche un suo assist improvvido, ma si sa, i piedi buoni non sono mai stati specialità della casa - richiede molto meno sbattimento.
Di lui si è anche detto che sarebbe un omofobo. “Per me il matrimonio è quello tra uomo e donna”, dichiarò, “e il Papa la pensa allo stesso modo”. Poi aggiunse: “Comunque questo è quello che penso io, credo che la libertà sessuale e il diritto di amare chi vuoi siano inalienabili”. Anche qui la presa di posizione è volutamente tranciata a metà, per alimentare rivoli di cattiveria.
Diceva Gustave Courbet: “L’onore non sta in un titolo o in un’onorificenza, ma negli atti e nei moventi delle azioni”. Chi giudica Gattuso come un essere spregevole, magari, farebbe bene a rammentare che al Milan decise di tagliarsi 5 milioni e mezzo di stipendio per fare in modo che fosse pagato il suo staff. Oppure scampanellate dalle parti di Pisa: qui, dopo la promozione in B, si frugò in tasca per salvare il club e il sogno di una città. Non c’entra nulla con le accuse, diranno i detrattori di Ringhio. Forse, ma restituisce la dimensione della persona.
Lui, intanto, naviga lontano dai social. Le bordate, certo, lasciano lividi. Perché è il primo a sapere che il suo pensiero è sì rudimentale, ma mai cattivo. Adesso chiede di essere giudicato per i fatti. I pregiudizi li lascia a chi vorrebbe contrastarli essendone al contempo vittima. Una stortura del nostro tempo che assomiglia ad un treno deragliato da un pezzo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.