Sei allenatori in cerca di gol per salvare se stessi e la panca

Mancini, Sousa e Mihajlovic devono portare l'Europa. Ventura e Montella la salvezza. A Pioli basta il derby

Sei allenatori in cerca di gol per salvare se stessi e la panca

Il calcio non è come le Olimpiadi. Che ti basta arrivare al bronzo e al rientro ti organizzano un corteo di festeggiamenti. No, il calcio è implacabile. Praticamente perdono tutti. Per rimanere nel recinto della serie A, possono festeggiare solo i campioni d'Italia, chi arriva secondo e (nel loro piccolo) i quint'ultimi-quart'ultimi. Quelli che sfangano la salvezza. Il terzo posto è solo sulla carta, d'altronde ai preliminari di Champions League ultimamente facciamo spesso cilecca.Bisognerebbe allora avvertire Roberto Mancini di non montarsi troppo la testa e (nel caso riuscisse nell'«impresa») sperare che non gli capitino spagnole a ferragosto. Se il Mancio dovesse arrivare terzo, superando concorrenti come Roma e Fiorentina, sarà confermato. Thohir dixit. Ecco, potremmo cominciare proprio da lui l'excursus di quelli che alla ripresa del campionato si giocano tutto in otto giornate. Mancini che un giorno è l'artefice massimo del progetto triennale per la conquista della Champions (la coppa, non la zona) e l'altro è uno che ci sta pensando, valuta. Nel frattempo non gli resta che vincere otto finali (come si suol dire) e sperare che la Roma ne perda almeno una. Per cominciare il filotto, meglio un Torino in disuso che la Lazio per la Roma. Inoltre l'Olimpico pare sarà semi deserto, buono per dimezzare il gap tecnico.

L'Inter incrocia Giampiero Ventura, un altro che mette in ballo il futuro. Cinque miseri punti su Palermo e Carpi con la prospettiva di non uscire indenne da San Siro domenica sera sono argomenti che fanno male allo spirito. Per lui di buono ci sono le indiscrezioni che lo vedono tra i papabili sostituti del ct della nazionale Antonio Conte. Dovrà, però, fare bene col Toro in questo scorcio finale di campionato per convincere Tavecchio che il calcio pane e salame ben si addice agli azzurri.Tra chi si deve guadagnare la fiducia c'è soprattutto il pugnace Sinisa Mihajlovic. Partito benissimo, due attributi così e tanta voglia di aprire un ciclo vincente. Poi gli infortuni e certi talenti mai sbocciati (Balotelli, tanto per non fare nomi) hanno stoppato il volo. Ora riabilitarsi è un'impresa. Sinisa paga lo scotto di avere un presidente come Silvio Berlusconi, uno che ha vinto più di tutti e senza Europa non ci sta. E a Sinisa non consola sapere che ormai il Cav si accontenterebbe anche di quella di scorta, di Europa. Basterebbe battere la Juve in finale di coppa Italia il 21 maggio a Roma e (ad oggi) avrebbe la conferma. Non solo avrà la possibilità di riportare un trofeo in casa rossonera dopo cinque anni di digiuno, ma potrà dare una grande risposta al presidente e provare a convincerlo a non cambiare ancora guida tecnica.

Non se la passa troppo bene neanche Paulo Sousa, l'ex fenomeno portoghese a 44 anni appena compiuti è diventato praticamente un brocco, uno che di calcio - dicono ora a Firenze - ne capisce poco e rende ancora meno per i fenomeni a disposizione. Un destino simile a quello di Rudi Garcia, prima santo, poi impostore. Da calciatore, Paulo Sousa era più bravo a servire assist che a segnare, un po' come la sua Fiorentina, molto «portoghese» nell'approccio: bella e sterile. Ha un solo modo per risolvere gli imbarazzi, arrivare terzo e frenare la corsa all'Inter. Per cominciare domenica dovrà superare la non trascendentale Sampdoria. Che di punti di vantaggio sulla terz'ultima ne ha appena quattro.

Barricate all'orizzonte per l'ex golden boy delle panchine Vincenzo Montella, altro allenatore in bilico da qui all'estate e altra figura improvvisamente declassata nell'immaginario collettivo. Solo tre anni fa sembrava avesse il mondo in tasca, di lui si diceva che era il Guardiola italiano, sarebbe presto andato ad allenare il Real Madrid che necessitava di un alter ego. Povero Vincenzino, vincono in pochi.

Stefano Pioli, però, può solo pareggiare. Un uomo a fine corsa. La sua Lazio è fuori da tutto, dalla lotta scudetto, dalla rincorsa all'Europa buona e cattiva e dall'Europa League che sembrava la vetrina in extremis.

La curva da tempo ha abbandonato la causa e lui nel limbo dei suoi 42 punti in classifica ha solo una prospettiva apparentemente decente: battere domenica la Roma e pareggiare il conto. Vincere sarebbe troppo, a Lotito i tifosi non glielo permetterebbero certamente.

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