Il Signor Sport che salta oltre le rivalità e le specialità

Il Signor Sport che salta oltre le rivalità e le specialità
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Finalmente abbiamo trovato il Signor Sport. Sembrava una mission impossible di quelle hollywoodiane, talmente impossible che neppure Tom Cruise la interpreterebbe, una sfida fiabesca da cartone Pixar, da film fantasy. Invece Tamberi è tutto realtà, zero fumetti, zero finzione. Il Signor Sport è nato in una magica sera magiara con la maglia azzurra, le bacchette da batterista in mano, il tuffo nella buca dei 3mila siepi, il bacio alla moglie, la medaglia d'oro in regalo e l'ultimo trionfo che mancava per poter dire «ho vinto tutto». Il Signor Sport italiano è certamente lui, il Signor Sport mondiale potrebbe essere ancora lui. Nessuna esagerazione. L'Italia non l'ha mai avuto. Il mondo anche. Non solo nell'atletica. Ci sono campioni che hanno la forza di superare lo steccato della propria specialità ed entrare nel cuore di tutti, Gimbo è uno di questi. Come Usain Bolt, Carl Lewis, Alberto Tomba, come Valentino Rossi, Federica Pellegrini, Kobe Bryant, Michael Jordan, come Coppi, Bartali, Senna, Ali, Pelé, Maradona. Ci sono però altri steccati da superare per diventare il Signor Sport, fra questi sacrificio e capacità di risollevarsi. Tamberi nel 2016, a due settimane dai Giochi di Rio, candidato all'oro, si fece male, carriera a rischio, per molti spacciato e invece, dopo anni di agonia sportiva, seppe tornare per riprendersi tutto. E qui la lista dei campioni in grado di farlo si riduce, fra i pochi Ali. Ma per diventare Signor Sport non basta. Vanno saltati altri steccati: quelli del sorriso, dell'allegria, del divertimento che nello sport, anche ai livelli agonistici più alti, devono o dovrebbero sempre esserci e invece sono rari. La lista di campioni si riduce ancora, a Tomba, Rossi, Bolt che sapevano divertire. Ma la dote più grande, quella per cui fin qui nessuno era mai riuscito a diventare il Signor Sport, è cercare, sì, ossessivamente la vittoria senza per questo trasformare in nemici i rivali, circondandosi invece, da vincitore o sconfitto non importa, solo di amici da abbracciare o persone da rispettare.

In questo hanno fallito tutti. Tranne lui. La medaglia condivisa con Barshim a Tokyo ne è l'emblema, gli abbracci dell'altra sera la conferma. Il Coni non aspetti un anno a dirci che sarà lui il portabandiera ai Giochi. Grazie.

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