Sarà un caso, ma proprio nel giorno in cui Roger Federer annuncia il documentario che racconta gli ultimi 12 giorni della sua carriera, dal Top 10 mondiale sparisce il rovescio a un mano, il colpo di cui lui è stato il pittore assoluto del tennis. Segno dei tempi, ormai passato nella generazione Sinner e che ha compiuto il suo quasi completo tramonto con l'uscita dai primi dieci del mondo di Stefanos Tsitsipas e l'ingresso di Alex De Minaur, proprio l'avversario battuto da Jannik in finale a Rotterdam. Questa settimana, insomma, è la prima senza quel colpo che è stato magia per tanto tempo, una storia che ha visto la prima crepa con l'arrivo di Bjorn Borg negli anni Settanta, ma che ha comunque resistito grazie all'eleganza del Divino svizzero. Ora il mondo che conta è tutto bimane, e il tennis - forse - un po' meno romantico.
Ma cosa è successo? Semplice: colpa del progresso, e dei materiali che costringono oggi i tennisti a sopportare pesi e vibrazioni che spesso mal si conciliano con la presa a una mano. Lorenzo Musetti, che crisi a parte (anche ieri ha perso 6-2, 6-0 a Doha contro il cinese Zhang al primo turno) ne è un protabandiera, dice che il rovescio classico «è un vantaggio e una maledizione», caratteristiche che mal si sposano con uno sport sempre più fatto di programmazione assoluta. Borg, ai suoi tempi, era l'eccezione che faceva folclore (memorabile la gaffe di Giampiero Galeazzi in telecronaca, quando disse che il suo rovescio a due mani era come «una bomba al Nepal»), ma era anche colui che nel cuore della racchetta di legno aveva messo un po' di plastica e della grafite, primo passo per la rivoluzione dell'attrezzo. C'era anche Jimmy Connor col suo compagno di metallo e i suoi colpi piatti, ma alla fine la rivoluzione vera è arrivata nel Duemila, con Federer appunto come capofila degli irriducibili. Il suo, tra l'altro, non è stato il migliore: Gasquet e Wawrinka si sono disputati per anni il trono della perfezione di un gesto ormai finito tra le cose vecchie.
E d'altronde, diceva proprio Roger, «nel tennis servono servizio, dritto e rovescio: se te ne mancano due puoi ancora giocare, se mancano tutti e tre non c'è partita». E se poi scompare quel rovescio, finisce anche la poesia.
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