Che beffa. La rimonta di Budapest che strozza in gola l'urlo dei romanisti, apre un trittico di finali che le italiane hanno conquistato con merito, ma che non devono essere già archiviate come un traguardo. La Roma che si è sciolta strada facendo davanti al Siviglia, impressionante regina di questa coppa stregata per le nostre squadre, non deve adesso gettare un'ombra sulle sfide che attendono Fiorentina e soprattutto Inter.
Purtroppo ci eravamo illusi che le magie di Mourinho potessero finalmente infrangere il tabù che dura dal secolo scorso, da quando il Parma nel 1999 portò in Italia per l'ultima volta la coppa Uefa. Invece non poteva bastare la mossa di sorprendere tutti schierando Dybala dal via (peraltro ripagata dal gioiello confezionato dall'argentino dopo una mezzoretta di gioco), perché poi è riemersa l'abitudine a proteggere questo esiguo vantaggio e il Siviglia abituato alle rimonte (chiedere alla Juve) ha cominciato a macinare il suo calcio elementare ma efficace, soprattutto con l'ingresso di Suso, arrivando al pareggio senza quasi accorgersi, per quel maldestro tocco di Mancini nella propria porta, ma poi completando l'opera ai rigori.
Peccato, perché la Roma ci aveva illuso di poter vedere per la prima volta cinque italiane in Champions, invece adesso dovremo sperare di averne almeno sette nelle prossime coppe, se la Fiorentina dovesse vincere tra una settimana la propria finale. A Mourinho questa volta non è riuscita l'impresa, non ha messo la ciliegina sulla torta, non ha ripetuto la doppietta di coppe che fece con il Porto e che lo consacrò una ventina d'anni fa.
Gli va riconosciuto di averci provato, più di quanto abbiano fatto quasi tutte le squadre italiane negli ultimi vent'anni di Europe league. Adesso potrà almeno andarsene da Roma senza lasciare l'amaro in bocca ai tifosi, come fece con gli interisti dopo il trionfo sul Bayern a Madrid.
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